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“Nessuna soluzione in Siria senza l’Iran”. Il punto di vista di Marwan Muasher

Di Ana Carbajosa. El País (4/02/2014). Traduzione e sintesi di Valerio Masi.

Marwan Muhasher, ex ministro degli esteri giordano, e’ un osservato d’eccezione sugli esiti negativi delle transizioni politiche nei paesi arabi. E’ un forte sostenitore della coesistenza di islamisti e laici e molto presto il suo libro “Il secondo risveglio arabo e la battaglia per il pluralismo” raggiungerà le librerie. Oggi è anche il direttore del centro di studi Carnegie, e parla come personaggio importante sulla situazione siriana. Per la repubblica di Damasco, infatti, predice una guerra su larga scala ma allo stesso tempo scarta come possibile soluzione un qualsiasi intervento straniero. Contemporaneamente tornerà in Giordania per aiutare un nuovo intervento di riforme che possa così evitare una rivolta nel regno hascemita.

D: Cosa può fare la comunità internazionale in Siria?

R: La comunità internazionale non sarà coinvolta in un prossimo futuro in Siria. Negli Stati uniti, ad esempio, si respira un’aria di ritirata dall’area: Iraq e Afghanistan sono solo un esempio. Obama è stato rieletto in base ad un programma che prevedeva il ritiro, dopo che la maggior parte degli statunitensi aveva capito il fracasso creato dalla politica di Bush. La guerra in Siria sarebbe ampia. Quello che servirebbe è un processo politico e diplomatico, che non è disponibile al momento.

D: Quindi non considera reale un intervento occidentale con la forza?

R: I ribelli sono quelli che combattono contro i jihadisti, che provengono da fuori del paese e che approfittano della mancanza di un potere. Dovrebbero essere I siriani a respingerli, ma d’altra parte l’esercito siriano può usarli come scusa che è effettivamente in lotta contro il terrorismo.

D: L’Iran è tornato alla ribalta internazionale diplomatica dopo il “dossier nucleare”, però allo stesso modo appoggia Damasco e Assad.

R: Senza l’Iran non ci sarà mai una soluzione in Siria. Tuttavia, come si è vito a Ginevra, gli Stati Uniti non sono ancora pronti per sedere allo stesso tavolo con l’Iran. Il Congresso attua ancora una forte resistenza, che non durerà per sempre.

D:  Un gruppo di esperti ha firmato un documento, chiamato  “certificato di morte della primavera araba”. Anche lei?

R: Credo che chiamarla “primavera” sia molto naif, tanto quanto chiamarlo “inferno”. Questo è un processo di trasformazione così grande che non si può pretendere che si concluda in soli tre anni. La stabilità era stata mantenuta per decenni da regimi autoritari in maniera del tutto artificiale. Quando questa pentola a pressione è scoppiata, è iniziata la battaglia delle idee, e non è chiaro né quando né come finirà. Il mondo arabo non è monolitico e non tutti risponderanno alla stessa maniera. Ad esempio, quando è caduto il muro di Berlino, ogni paese ha seguito il proprio corso, e nel caso dei paesi arabi sarà lo stesso.

D: Difende il pluralismo come una soluzione. Come ci si arriva?

R: Questa non può e non deve essere una battaglia in cui vinceranno gli islamisti o i laici, perché altrimenti staremo solo rimpiazzando dei regimi autoritari con degli altri. Ad esempio, non è possibile che i Fratelli musulmani siano vietati per legge. Questa è una battaglia per il pluralismo e ciò si ottiene solo attraverso l’istruzione. E’ necessaria una generazione che creda nella formazione e nella democrazia. Sarà lunga, ma è importate che non ci sia nessun “taglio” alla democrazia.

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