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Negoziate ma non dimenticatevi di noi, Arabi di Israele

ulivi-in-fiammedi Ala Hlehel.  Haaretz (25/07/2013). Se i negoziati di pace ricominceranno (di nuovo), noi Arabi cittadini di Israele abbiamo il dovere di interessarci in qualità di sostenitori o di oppositori più che di spettatori relegati in tribuna. Questi negoziati riguardano noi quanto il resto del popolo palestinese. Se andranno a buon fine, avremo a che fare con una nuova realtà che richiederà un cambiamento radicale. Se falliranno, dovremo subirne le conseguenze.

Ci sono due questioni che toccano da vicino la nostra esistenza in Galilea , nel cosiddetto “triangolo” delle comunità arabe nel centro di Israele e nel Negev: il riconoscimento internazionale di Israele come Stato ebraico e l’evacuazione degli insediamenti. Le due questioni sono strettamente correlate. Nel caso in cui un accordo di pace fosse firmato tra l’Autorità palestinese e lo Stato di Israele, e l’identità dello Stato ebraico diventasse un dato di fatto, dovremo affrontare l’inizio di un processo difficile e forse carico di tensione tra noi e il ri-promesso Stato ebraico.

Si può dare quasi per certo che la risposta immediata a qualsiasi reclamo collettivo proveniente da cittadini arabi di Israele sarà: “Vai a realizzare la tua identità nazionale nel tuo nuovo Stato”. La tolleranza pubblica per le richieste e i diritti degli Arabi che vivono in Israele crollerebbe ai minimi storici. Gli Israeliani si vorranno rilassare quando, ai loro occhi, avranno rimosso, una volta per tutte, la scheggia  conficcata nel didietro nazionale. La “fine del conflitto” con l’Autorità palestinese equivale all’inizio del conflitto con noi.

Decine di migliaia di coloni, dopo esser stati evacuati, per loro volontà o per mezzo della forza, irromperanno nella nostra vita. Esistono già organizzazioni non governative che lavorano per trapiantare insediamenti religiosi messianici nelle città miste di Israele e in altre aeree dove popolazioni arabe ed ebraiche convivono, come Acre, Lod e Ramle. Se e nel momento in cui gli insediamenti venissero smantellati in Cisgiordania,  avremo decine di migliaia di sfollati che vorranno “giudaizzare” lo Stato ebraico dall’interno.

C’è chi pensa che molti dei coloni, se sfrattati con la forza, emigreranno, perché non sopporteranno la separazione dalle piantagioni di olivi di Nabi Saleh e Na’alin: erano così abituati ad abbracciare gli alberi!(prima di bruciarli)*. La corrente messianica, ideologica vorrà radicarsi in Israele, tra Saknin e Arabeh, tra Nazareth e Kafr Kana.

La verità è che in un paese ben gestito questo non sarebbe un problema, a patto che io e la mia gente possiamo costruire una farm town araba tra Ramat Hasharon e Herzliya. Questa “semina”  unilaterale di comunità è un assalto sfrenato- geografico, economico e identitario- agli Arabi di Israele. Se gli insediamenti fossero smantellati, decine di migliaia di entusiasti “amanti della natura” armati si unirebbero alla forza d’assalto.

Nel corso della storia delle relazioni tra lo Stato israeliano e i Palestinesi, gli Arabi di Israele sono stati dimenticati e calpestati non solo da Israele ma anche dalla leadership palestinese, che non è riuscita a proteggere nessuno dei nostri interessi vitali.  Noi abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere la lotta palestinese non come ragazze pon pon a bordo campo ma come parte integrante della lotta stessa. Le persone all’interno della lotta devono però saper proteggere i propri interessi invece di accettare come fosse Vangelo il presupposto che liberare i terreni confiscati  nei territori occupati sia più importante che proteggere i terreni di Baka al-Garbiyeh e di Jatt. Anche la proposta di liberare prigionieri, che sarà discussa a breve, esclude chi è cittadino israeliano.

Ovviamente la soluzione ideale è uno Stato unico, secolare, liberale e democratico per entrambi i popoli, ma fino a quando non raggiungeremo questo scopo, e nel caso un accordo sia firmato in qualsiasi fase, dobbiamo proteggere la nostra esistenza di fronte alla campagna di insediamento ebraica dei coloni, che sarà più aggressiva di quanto non lo sia oggi. La situazione dei cittadini arabi in Israele è brutta da qualsiasi punto di vista, ma la cosa più preoccupante è la possibilità che un razzismo “popolare”  si radichi nello Knesset e nel governo, senza vergogna e senza ritegno. Un contesto del genere è un terreno fertile per gli insediamenti.

Qualora fosse stabilito, gli insediamenti dovrebbero rimanere parte dello Stato palestinese lungo i confini precedenti al 1967,  i coloni dovrebbero accettare le leggi e viaggiare all’estero con il passaporto dello Stato stesso. Chiunque non fosse d’accordo è cortesemente invitato a trasferirsi nelle comunità di Israele quali Savyion o Ofakim. Il terreno ad al-Araqib non è disponibile.**

 

*qui l’autore fa riferimento alla tradizione ebraica per cui tra le ricorrenze c’è una festività totalmente dedicata agli alberi, il che fa capire l’importanza attribuitagli . Ciò non toglie che una pratica ricorrente, quando i soldati israeliani soffocano le rivolte, sia quella di appiccare il fuoco alle piantagioni di olivi.

**il villaggio di al Araqib non è considerato legale da Israele.