Daesh Zoom

Come nasce la mentalità terrorista?

Libia Daesh

Di Osman Mirghani. Asharq al-Awsat (31/03/2016). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi.

L’atroce attacco suicida di domenica scorsa in Pakistan, in un parco giochi di Lahore, ha causato la morte di 69 persone e 300 feriti. Il primo ministro Nawaz Sharif ha dichiarato che non sarà sufficiente sconfiggere gli estremisti talebani, ma occorre prima di tutto abbattere e sradicare la così detta mentalità terrorista. Ma qual è esattamente la mentalità da cui deriva il fondamentalismo? Com’è possibile identificare i potenziali terroristi?

Il mondo ha iniziato a tormentarsi con queste domande già qualche tempo fa, all’epoca degli attacchi che hanno colpito l’America nel settembre 2001. Oggi, questi interrogativi, costituiscono la preoccupazione principale dei servizi di sicurezza e degli esperti interessati al fenomeno del terrorismo. Ma nonostante tutte le ricerche e i libri pubblicati, o i seminari e gli incontri tenuti, o i soldi spesi, il mondo continua ad essere disorientato di fronte alla follia estremista che colpisce civili innocenti in aree di difficile protezione.

La verità è che non è possibile tracciare un quadro preciso dei potenziali terroristi né stilare una lista unica e assertiva dei fattori che favoriscono l’ideologia fondamentalista. Esistono diversi elementi che possono contribuire a formare una mentalità terrorista, ma non costituiscono di certo una prova definitiva. Se l’attentatore fosse una persona disperata e frustrata? O magari alla ricerca dell’avventura o di un obiettivo? Se fosse una persona dalla formazione limitata, proveniente da una classe svantaggiata e povera? O semplicemente un uomo squilibrato, fattore che potrebbe facilitare il suo reclutamento e adescamento? Il presunto jihadista è una persona pia e salda nella fede oppure è un illuso, attratto da slogan terroristici e senza la capacità di porsi domande complesse tra le contraddizioni del pensiero estremista e la tolleranza della religione e dei suoi insegnamenti?

Durante una conferenza in Tunisia, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha riferito che i giovani disoccupati sono i più vulnerabili all’estremismo. Il numero di disoccupati presente in Tunisia si aggira sui 700.000 di cui la maggior parte sono giovani. Un fenomeno preoccupante, dato l’alto numero di terroristi che sono andati a combattere nelle fila di Daesh (ISIS) e Al-Qaeda. È vero che la povertà e la disoccupazione possono portare i giovani alla deriva, inclusa l’adesione a organizzazioni terroristiche, ma in compenso c’è un alto numero di estremisti appartenenti a famiglie di ceto medio. Molti di questi hanno abbandonato la loro vita e il lavoro per arruolarsi nei ranghi di Daesh o al-Qaeda.

In America, il mese scorso, le autorità hanno arrestato una donna del Missouri con l’accusa di promuovere la propaganda del sedicente Stato Islamico. Amici e parenti sono accorsi a difenderla affermando che i suoi pensieri sono ben lontani da Daesh. Si dice che la donna soffrisse di solitudine e stesse cercando di attirare l’attenzione. Ciò dimostra la difficoltà a scovare tempestivamente chi può trasformarsi in una possibile minaccia terroristica e chi è solo affascinato dagli slogan del califfato.

Gli attacchi di Parigi e Bruxelles hanno messo in luce il fallimento delle autorità nel monitorare i pianificatori degli attentati. Questi ultimi, infatti, non erano inseriti in nessuna lista terroristica poiché il loro background non suggeriva alcun tipo di coinvolgimento o sospetto in azioni terroristiche. Gli unici precedenti che avevano sono crimini in abuso di droga e furti.

Il terrorismo è una questione spinosa da affrontare. È urgente colpire i focolai di terroristi e distruggere le loro cellule, così come è necessario affrontare e combattere l’ideologia che alimenta il terrorismo. Ciò non deve però far dimenticare le altre ragioni sociali ed economiche dietro a questo fenomeno. Occorre infatti riconoscere che esistono politiche che contribuiscono a creare sentimenti di ingiustizia, tensione e rimostranza e che non fanno altro che alimentare il seme terrorista e di conseguenza la manipolazione da parte della classe fondamentalista.

Osman Mirghani è un giornalista che collabora regolarmente con il quotidiano panarabo Asharq al-Awsat, di cui è ex vice caporedattore.

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