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N-J-M, profondità di stella

Lucio Fontana - Concetto spaziale
Lucio Fontana - Concetto spaziale
Lucio Fontana – Concetto spaziale

“Quando un pozzo è molto profondo, ci si può vedere dentro ogni stella…”: A. A. Tarkovskij affida alla madre del piccolo protagonista del suo film, L’infanzia di Ivan, il compito di svelargli quanto può essere profonda la volta celeste. La lingua araba ha affidato, per me, lo stesso compito alla radice najama, sorgere, apparire, emergere. Dalla stella, najm, alla miniera, manjam, attraversando anni luce e strati del terreno. “C’era solo una stella, è il Czatyrdah!”, ha scritto il poeta polacco Adam Mickiewicz, rendendo una montagna molto elevata della Crimea un astro che scopriamo appare blu. Oltre alla miniera, manjam è anche l’origine, qualcosa da cui si deriva. E sembra che le costellazioni bucate da Lucio Fontana sulle sue tele parlino nello stesso codice, “Non è che bucavo per rompere il quadro – no – ho bucato per trovare qualcosa…”, rivelò l’artista, che da semplici buchi riusciva a profondere un’immagine d’universo in espansione, rendendo quei buchi come stelle, nujūm, oltre le quali c’era una profondità da scoprire. “L’affamato traccia la fame sul suo quaderno sotto forma di stelle o strade”, ci dice Adonis, che sembra unirsi in controcanto ai versi di René Char quando parla degli “scostàti dalle stelle che per loro natura volano ma non arrivano”. Anche per Char la profondità porta a spazi stellari, “la luce vera la si scopre in fondo alle scale”. E a declinare il passaggio da sotterraneo a oltreceleste troviamo le parole di Jubrān Khalīl Jubrān, quando in una lettera a Mayy dichiara: “Amo gli oggetti antichi, mi entusiasmano perché sono frutto del pensiero umano che procede con un altro migliaio di piedi dall’oscurità verso la luce – quel pensiero eterno che si immerge con l’arte negli abissi marini per poi risalire e giungere fino alla Via Lattea” (Lettere d’amore: corrispondenza con Mayy Ziyadah, intro e trad. di Valentina Colombo, ed. San Paolo). Un fenomeno che avvicina superficie terrestre (in questo caso marina) e cielo vive nel plancton, “il famoso oceanografo John Murray,” ci dice Richard Carrington nella sua Biografia del Mare, “scrisse a proposito della concentrazione di plancton osservata nello stretto di Gibilterra: La superficie dell’acqua qui era così piena di Noctiluche fosforescenti (…) e la sera il mare assomigliava a un cielo risplendente di stelle”. Addirittura Charles Darwin, nel suo Viaggio del Beagle, sempre citato da Carrington dice che al largo della costa orientale del Sud America “Fino dove si poteva spingere lo sguardo, tutte le onde avevano creste luminose, e il cielo sopra l’orizzonte, per il bagliore riflesso di queste livide fiamme, non era completamente scuro come il resto della volta celeste”, proprio per via del plancton. Dalle profondità della terra a quelle del mare e verso l’atmosfera, najama compie viaggi inaspettati, capovolgendo le prospettive come Andrea Zanzotto ha espresso così bene nei versi contenuti in Fosfeni (‘vortici di segni e punti luminosi che si avvertono tenendo gli occhi chiusi (e comprimendoli)’, così li descrive in una nota): “dal mio proprio collassato mi sono evoluto / sì che potrei con le mie parti infime / del brillio dell’oscuro lo stato vero assumere / e oralità e orazione infine adergere / essere – in esse – chimico segno”.

Claudia Avolio