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La musica religiosa nell’Islam

In occasione del Ramadan, per il quale faccio gli auguri a tutti i credenti musulmani, offro ai lettori un articolo con delle informazioni sulla musica in ambito religioso, nell’Islam. La fonte che uso come riferimento è il saggio di H.G. Farmer, “La musica nell’Islam”, contenuto nel vol. I di “The New Oxford History of Music”, Garzanti/Feltrinelli, 1991.

Rituali religiosi pagani erano presenti nel pre-Islam e furono documentati da S. Nilo, Noeldeke, Epifanio. Con la nascita dell’Islam, il Profeta cercò di dare un colpo di spugna ai riti pagani ma, da est ad ovest, musica e magia erano strettamente e tenacemente collegati. Il generi musicali chiamati “tahlil” e “talbiyya” furono introdotti e mantenuti nella pratica islamica; stesso dicasi per i canti pagani usati durante il pellegrinaggio (“hajj”) e che furono riadattati, rivestiti di un nuovo carattere e, talvolta, accompagnati da piffero e tamburo.

La danza (“raqs”) fu screditata dall’Islam ma non si riuscì mai ad eliminarla del tutto. Ancora oggi, nelle zone non occidentalizzate e che hanno mantenuto maggiormente intatte le antiche tradizioni, capita di assistere a danze corali religiose, anche se conservano un sapore profano.

La danza religiosa, quella dei Sufi, è un’altra cosa e necessita di un discorso a parte. Ne ho già trattato, se i lettori ricordano, in articoli i cui link vengono riportati più avanti, in questo stesso articolo.

Va subito chiarito che parlare di musica religiosa nell’Islam non ha la stessa valenza che assume in ambito cristiano, dal momento che non esiste, nell’Islam, un’istituzione religiosa e, con le relative ufficiature, pari alla Chiesa. La musica in lode ad Allah può trovare posto ovunque, non solo all’interno della moschea. Momenti privilegiati per la musica in ambito religioso sono, innanzitutto, la lettura salmodiata del Corano, l’invito alla preghiera, l'”ascolto della musica” detto “sama”, tipico dei Sufi, fino ai semplici canti religiosi cantati dalla gente del popolo.

Si dice che Allah ascolti con maggiore attenzione e benevolenza chi si rivolge a Lui con una bella voce intonata. Ma la cantilena, il melodizzare con cui viene recitato il Corano è diversa dalla pratica vocale vera e propria. Si dice che il primo cantore ad usare le salmodie sia stato Abu Bakr (morto nel 669) e sembra che tale distinzione fosse voluta dai legislatori che si opponevano alla musica e consideravano sconveniente cantare sul Corano e nella chiamata alla preghiera. La cantilena, definita non canto bensì “elevazione della voce”, permise di aggirare l’ostacolo e trovare un valido compromesso tra la inopportunità del canto e il fatto che, comunque, Allah amasse maggiormente la preghiera espressa con una bella voce.

Sembra che nel IX secolo, comunque, addirittura le melodie di ballate popolari fossero usate per il canto del Corano. Ci volle tempo, quindi, per arrivare al genere di canto raffinatissimo e di altissimo livello che fu poi usato per la lettura salmodiata del Corano.

Il testo sacro dell’Islam è scritto in una forma particolare, il Sag, che si presta particolarmente ad una lettura musicalizzata, e le norme che regolano vari parametri di tale lettura, ad esempio la vocalizzazione, l’andamento e le pause, sono state codificate da Ibn al-Jazari (morto nel 1429). La salmodia, invece, rimase sempre libera da schemi melodici fissi, così che si possono ascoltare tante cantilene quante sono le moschee sparse nel mondo arabo-islamico e non solo.

L’invito alla preghiera fu istituito nei primissimi tempi dell’Egira (622-624), per incitare i fedeli a compiere i loro doveri religiosi. Inizialmente questo avveniva per le strade e il primo “banditore”, ossia il muezzin, fu Bilal. In seguito il muezzin svolse il suo compito dall’alto del minareto della moschea, utilizzando una salmodia simile a quella usata per la lettura coranica.

È interessante sapere che l’incarico del muezzin era inizialmente ereditario ma, col tempo, i doveri del culto richiesero la presenza di più muezzin nella stessa moschea e così, dal IX/X secolo, essi si alternavano nel canto della chiamata alla preghiera. Ancora successivamente, essi presero l’abitudine di riunirsi per cantare insieme il secondo invito. Ancora oggi lo stile di canto per chiamare i fedeli alla preghiera è molto vario e spazia da modalità semplicissime a quelle raffinatissime, con melodie ricche di melismi.

Per la musica nel sufismo rimando i lettori agli articoli che ho già pubblicato in
merito:

La salmodia nell’Islam

El Ghazali e la musica nel mondo arabo-islamico

Il sufismo e le donne

Musica e sufismo: il semà

Concludo questo intervento ribadendo che la musica religiosa islamica non è confinata in luoghi di culto specifici e che le moschee non sono l’equivalente della Chiese cristiane. Il canto religioso è, nei paesi musulmani, parte integrante della vita degli individui, praticato anche all’interno di momenti di socialità.

Nonostante l’avversità alla pratica vocale e strumentale di molti legislatori, nel corso dei secoli, tanto da considerarla peccaminosa o perlomeno deviante, i canti religiosi hanno avuto una parte importante nell’educazione della gente.

 

Cinzia Merletti

 

About the author

Cinzia Merletti

Cinzia Merletti è musicista, didatta, saggista. Diplomata in pianoforte, laureata in DAMS, specializzata in Didattica e con un Master in Formazione musicale e dimensioni del contemporaneo. Ha scritto e pubblicato saggi sulla musica nella cultura arabo-islamica e mediterranea, anche con CD allegato, e sulla modalità. Saggi e articoli sono presenti anche su Musicheria.net. Ha all'attivo importanti collaborazioni con musicisti prestigiosi, Associazioni culturali e ONG, enti nazionali e comunali, Conservatorio di Santa Cecilia, per la realizzazione di eventi artistici, progetti formativi ed interculturali tuttora in corso.

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