Egitto Zoom

Mubarak insegna. El Sisi impara?

Al-Quds al-Araby (12/11/2014). Traduzione e sintesi di Francesca De Sanctis

Tentando di interpretare le tendenze del regime presidenziale di Abd Al-Fattah Al-Sisi in maniera oggettiva, sorge spontanea una domanda: non ha imparato nulla dalla caduta del precedente governo di Hosni Mubarak?

Naturalmente questo quesito rimane quasi segreto considerato lo stato in cui versa un’informazione così monotona e distorta che mai aveva avuto precedenti del genere.

Tuttavia la discussione al riguardo è diventata ormai inevitabile, per due principali motivi: in primo luogo per il fatto che il regime basa la sua politica sulla soppressione delle libertà e la repressione come risposta all’aumento di atti terroristici; in secondo luogo perché si avvale delle elezioni come carta politica per compiacere l’alleato americano sul fronte internazionale e scongiurare qualsiasi opposizione politica a livello nazionale.

Per quanto riguarda le libertà e i diritti:

  • È evidente che a determinare la linea d’azione del regime è l’errata convinzione secondo cui soppressione e repressione possano combattere il terrorismo. Si può osservare facilmente il rapporto diretto tra misure repressive e atti terroristici nel corso degli ultimi mesi. Si tratta di una linea adottata dallo stesso Mubarak, e se questa convinzione fosse stata valida avrebbe senz’altro avuto successo nel corso del suo mandato, anziché condurre alla sua disfatta in seguito alla rivoluzione egiziana.
  • Il regime contribuisce ad instaurare un clima di intimidazione collettiva degli oppositori per vie non ufficiali, attraverso i media – come nel caso della campagna ingannevole lanciata dal canale considerato portavoce ufficiale dell’”apparato di sicurezza dello Stato” che richiedeva l’applicazione della pena capitale immediata per i sospettati di terrorismo, senza legge o prove, in seguito all’attacco terroristico contro i soldati dell’esercito egiziano a Karam Al-Qawadis.
  • Nonostante il numero record di critiche e proteste raccolte dall’Egitto nell’ambito della riunione del Consiglio per i Diritti Umani che si è tenuta a Ginevra la settimana scorsa, il regime ha intenzione di prendere numerose misure repressive contro le organizzazioni non governative “contrarie alle sue posizioni”, misure che non si confanno ad un Paese che è insorto contro l’ingiustizia e ha sacrificato migliaia martiri e feriti per ottenere la libertà.
  • Dopo che i giornalisti sostenitori del regime hanno costituito “la camera per l’industria dei media”, che proibisce ai canali satellitari di ospitare chiunque critichi Al-Sisi o il governo, giornalisti dello stesso orientamento hanno deciso di fondare una “camera d’industria stampa” che svolga lo stesso ruolo, in un Paese in cui, nonostante la radicata tradizione giornalistica, non si pubblica più la sola stampa dell’opposizione.

Chi conosce bene la storia dell’Egitto saprà che le risoluzioni del governo per far chiudere i giornali dell’opposizione e proibire le opinioni contrarie si sono sempre rivelate una sorta di presagio negativo per le forze al potere, a partire dal presidente Anwar Sadat, assassinato poco dopo la chiusura del giornale “del popolo”, fino a Mubarak, scacciato sempre dal popolo settimane dopo la sua grande campagna di oscuramento dei canali satellitari.

Per quanto riguarda le prossime elezioni parlamentari invece:

  • Al-Sisi ha commesso un errore qualche giorno fa con la sua decisione di annunciare le elezioni parlamentari durante il meeting con la delegazione di imprenditori americani piuttosto che comunicarlo prima al popolo egiziano. Ciò può forse dimostrare quale sia il vero intento che si cela dietro la decisione di indire nuove elezioni, il passo chiave nella roadmap di Al-Sisi per la piena “legittimazione del regime”, il cui scopo è sciogliere le possibili riserve e abbattere gli ostacoli all’ottenimento di aiuti europei e americani in primis. Era stata proprio questa la tattica adottata anche da Mubarak con l’attuazione di riforme politiche a partire dal 2005: tutto era stato progettato allo scopo di compiacere Washington e non per dare forma effettivamente a una democrazia. Poi però, una volta che il popolo si era mobilitato, Washington non aveva esitato ad abbandonare il suo antico alleato.
  • La principale preoccupazione riguarda la linea del regime in merito all’elezione del prossimo parlamento di non ammettere la presenza di un’opposizione al regime tra i suoi membri. Al-Sisi non nascose i suoi timori in merito a questa questione, dichiarando pubblicamente che “la Costituzione concede al Parlamento la possibilità di deporre il Presidente, perciò bisogna che il popolo rifletta attentamente”. E a margine della sua partecipazione alla riunione dell’Assemblea Generale disse: “Se i Fratelli Musulmani conquistassero il Parlamento, il popolo lo scioglierà”. Dichiarazioni come questa rappresentano una garanzia per il popolo nella scelta dei suoi rappresentanti. E naturalmente questo approccio porta automaticamente alla risoluzione del regime di Mubarak di rimuovere gli oppositori alle ultime elezioni parlamentari nel 2010.

Quindi, arrivati a questo punto, è possibile che il regime di Al-Sisi riesca ad imparare qualche lezione dal trascorso di Mubarak?

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