Di Salma El Shahed. Al-Arabiya (30/11/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Dopo essersi trascinato per anni, il “processo del secolo”, come lo chiamano i media egiziani, è terminato ieri con l’assoluzione dell’ex presidente Hosni Mubarak da tutte le accuse, tra cui quella di aver ordinato l’uccisione dei manifestanti durante le proteste del 2011. Per alcuni, il proscioglimento di Mubarak è indice della posizione della magistratura e del regime attuale in merito alla rivoluzione del 25 gennaio.
Ahmad Ragheb, membro del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani in Egitto, ha dichiarato che l’assoluzione di Mubarak ha mandato un messaggio per cui “le milioni di persone che sono scese in strada nel gennaio 2011 non avevano motivo di farlo”. “Il regime si sta rinnovando e si sta assolvendo da solo”, ha aggiunto Ragheb, dicendo che si tratta di un passo indietro per “un sacco di gente che ha creduto nella rivoluzione” e dell’ennesimo ostacolo verso i suoi obiettivi.
La magistratura è stata accusata di non essere riuscita a separarsi dal potere esecutivo, suscitando dubbi sulla sua abilità di continuare a giudicare casi senza essere influenzata dal governo. “Le persone hanno perso fiducia nella giustizia”, dice Ragheb, spigando che la gente mette a paragone il processo Mubarak con quello delle ragazze che sono state condannate a tre anni di reclusione per aver protestato con dei palloncini.
Di contro, Abdel Latif el-Menawy, opinionista e scrittore, ha dichiarato che la decisione della corta non avrà una “reazione negativa” considerevole e essa non avrà impatto sul processo politico. Benché non favorevole alla trasmissione dei processi, Menawy ha commentato che è stata una “scaltra decisione [quella di trasmettere il processo sui media] perché ha dato l’opportunità alle persone di seguire e capire tutti i dettagli”. Secondo Menawy, ciò permetterà all’opinione pubblica egiziana di “essere pronta ad accettare il verdetto”.
Da parte sua, Ragheb ha dichiarato che oggi gli egiziani non possono più distinguere tra una magistratura indipendente e una che non lo è.
Altro motivo di disputa tra gli attivisti è stata la discrepanza tra il numero delle presunte vittime e quello invece menzionato nel processo. Secondo la corte, sono poco più di 200 le morti registrate dalle autorità con relazione alle rivolte del 2011, in netto contrasto con le quasi 900 vittime riportate da attivisti e osservatori. “Ciò mostra il fallimento da parte dello Stato: i numeri [presentati dalla corte] delle persone uccise mostra che la Sicurezza Centrale non aveva intenzione di contare o registrare tutte le vittime”, ha commentato Ragheb.
In merito a come questo intaccherà la credibilità dei capi di Stato e degli alti funzionari, Mohamed el-Dahshan, scrittore egiziano, ha detto che queste cifre “rimangono al di sopra di qualsiasi giudizio” visto che sono “poche le prospettive di giustizia per queste vittime”. E poi ha concluso: “Mentre questa decisione potrebbe sembrare un sollievo per i dittatori, essa avrà un effetto di raffreddamento sugli attivisti pro-democrazia che lottano perché ci sia giustizia per tutti”.
Salma El Shahed è una giornalista emiratina.
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