Con altre parole I Blog di Arabpress Immigrazione Letteratura Mediterraneo

“Migrazioni nel Mediterraneo” a cura di Giuseppe Acconcia e Michela Mercuri

giuseppe-acconcia
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

Mai come in questo periodo storico l’opinione pubblica nel nostro Paese e nell’intero continente europeo si divide sul tema delle migrazioni, un fenomeno che negli ultimi anni ha scatenato un dibattito dominato dalla dura contrapposizione e che suscita nella fazione dei contrari all’accoglienza, paure ataviche legate alla difesa dei confini nazionali e della identità culturale e religiosa, nel timore, infondato, che i migranti arrivino per colonizzare le terre di approdo. Niente di più lontano dalla realtà, soprattutto niente di più distante da ciò che i numeri reali raccontano, da ciò che le esperienze di chi migra restituiscono ad un ascolto attento e non superficiale.

Sfatare quindi un costrutto di false notizie, falsi numeri ed erronea percezione è un dovere di chi fa informazione, di chi opera nel mondo della cultura e che si fa quindi portavoce di una verità dei fatti da contrapporre alla menzogna della propaganda. È ciò che provano a fare Giuseppe Acconcia e Michela Mercuri, curatori di un interessante saggio dal titolo “Migrazioni nel Mediterraneo”, edito da Franco Angeli.

Migrazioni nel Mediterraneo

Come scrive nella prefazione Massimo Campanini “una fobia che rivela tutte le fragilità e le contraddizioni dello stesso Occidente che dimostra di dubitare lui per primo della propria identità e anzi di averla smarrita”.

Le migrazioni sono un fenomeno inevitabile nella storia dell’umanità. L’uomo si è sempre spostato per le ragioni più disparate e i flussi migratori che interessano l’area del Mediterraneo in questo scorcio di secolo sono frutto di situazioni politiche, sociali, economiche e ambientali ben note ai governi occidentali, spesso in passato corresponsabili del deterioramento delle condizioni di vita nei paesi di origine dei migranti.

Il volume di cui ci occupiamo si pone come obiettivo quello di fornire alcuni spunti di dibattito e di discussione sul tema delle identità transazionali, della percezione della sicurezza e dei movimenti sociali dei paesi del Mediterraneo, e si divide in due macro sezioni, la prima dedicata ai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, la seconda invece all’Europa.

Gli autori dimostrano come in realtà i flussi migratori – di cui oggi l’Europa e l’Italia in particolare hanno tanto timore – hanno interessato prioritariamente paesi africani, come per esempio la Libia che già dagli anni ’60 ha attratto molti migranti in cerca di occupazione provenienti da paesi africani. Nel corso degli anni, e soprattutto dopo le rivolte del 2011, la situazione si è modificata e da paese di immigrazione la Libia si è trasformata in paese di transito. “Una sorta di terra di mezzo in cui si strutturano le reti criminali e i gruppi terroristici impegnati nei vari traffici illeciti, tra cui quello di migranti”, scrive Michela Mercuri nel capitolo dedicato proprio alla realtà libica. Un traffico, quello degli esseri umani, che genera guadagni superiori al mezzo miliardo di dollari annui.

Nel capitolo relativo a Egitto e Siria, Acconcia esplora la situazione dei flussi migratori che negli ultimi anni hanno interessato migliaia di uomini e donne siriani in fuga dalla guerra e che non hanno trovato in Egitto quell’accoglienza che il predecessore di Al-Sisi, l’ex presidente Morsi, aveva concesso a decine di migliaia di siriani, ai quali era stato riconosciuto lo status di rifugiato. Stessa sorte è toccata a migliaia di palestinesi, i quali, all’indomani dell’arresto di Morsi, hanno visto revocato il loro status di protezione, con annullamento dei documenti, arresti, deportazioni, espulsioni dei bambini dalle scuole pubbliche.

Lorenza Perini con il suo contributo ci porta nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, uno dei più grandi mai concepiti e costruiti. L’accademica si sofferma soprattutto sulla condizione delle donne all’interno del campo, dove si perpetrano ai loro danni molestie, abusi, fino a violenze vere e proprie. “Per un certo periodo di tempo le donne che arrivano nei campi profughi sono spaesate, disperate molto più degli uomini, e se sono madri sole, lo spaesamento è ancora maggiore, perché per la prima volta nella loro vita, in conseguenza del conflitto, si trovano ad essere le uniche responsabili dei loro figli in tutto e per tutto, sono loro i capofamiglia con tutte le conseguenze che questa sovraesposizione comporta in una società che anche nel campo mantiene tratti fortemente patriarcali”. Donne vulnerabili per le quali la violenza sessuale e quella domestica rappresentano il principale timore all’interno del campo. Tuttavia il comportamento delle donne siriane all’interno del campo di Zaatari è cambiato negli ultimi anni, come riferisce l’autrice le donne hanno iniziato una loro personale rivoluzione contro molti valori tradizionali e modelli sociali restrittivi della loro libertà. Ma la concreta emancipazione delle donne non può realizzarsi senza passare attraverso una parallela emancipazione degli uomini che a loro volta devono imparare il rispetto per le loro compagne.

Il focus sulla Turchia evidenzia come questa negli ultimi anni sia passata da paese di emigrazione e di transito a luogo di approdo e stanziamento. A partire dalla rivolta del 2011 oltre 4 milioni di siriani hanno varcato il confine turco. Tuttavia le leggi adottate dalle autorità turche, pur prevedendo il riconoscimento dell’asilo politico, appaiono ispirate da criteri di restrizione geografica che accorda priorità ai cittadini europei. La propaganda però è riuscita a rappresentare il paese come quello più generoso al mondo in termini di accoglienza. Una rappresentazione che si scontra con la realtà delle leggi turche, come quella che vieta ad organismi internazionali indipendenti di monitorare il fenomeno migratorio, tanto da rendere difficile se non impossibile comprendere la volontarietà o la coercizione dei rientri in Siria.

Nella seconda parte del volume di affronta il fenomeno migratorio dall’osservatorio Europa. Una terra che sta gradualmente cedendo i suoi antichi valori di accoglienza e solidarietà in nome di una securitizzazione dei propri confini. Una evoluzione (o meglio involuzione) che vede l’Europa scendere a compromessi con regimi violenti e dittatoriali che per bloccare i flussi migratori perpetrano continue violazioni dei diritti umani, praticando violenze orribili soprattutto nei confronti delle donne. Gli autori invocano quindi una nuova classe dirigente europea che possa “trasformare l’UE da luogo della democrazia del benessere, ambito da molti ma accessibile a pochi, in terra di accoglienza e democrazia per tutti”. In mancanza di ciò sarà inevitabile che l’Europa precipiti nella pericolosa contraddizione che contrappone nobili principi di diritto a politiche di respingimenti, finanziamenti di dittature e violenze verso tutte quelle persone la cui unica colpa è quella di fuggire da persecuzioni e povertà per cercare una seconda possibilità di vita.