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“Le mie sorelle sono morte!”: vita e morte sotto le macerie di Aleppo

Di Wael Adel. Al-Quds al-Arabi (11/03/2014). Traduzione e sintesi di Lia Brigida Marra.

Tutti noi ricordiamo il bambino di Aleppo che, seduto sul marciapiede e in preda al pianto, gridava: “Le mie sorelle sono morte! Dio mio, le mie sorelle sono morte!”. Le sue parole hanno lasciato il segno nei cuori di milioni di arabi, rapiti dai capitoli di una guerra che ogni giorno ci tormenta con una nuova tragedia.

La famiglia di quel bambino Al-Quds al-Arabi l’ha incontrata per ascoltarne la storia. Una storia, la loro, simile a quella di migliaia di famiglie a cui i barili esplosivi hanno distrutto la casa e cancellato la vita. Forse, l’unica differenza è che alcuni membri di questa famiglia sono sopravvissuti, perché dicessero addio ai loro cari, dopo averli cercati per tre giorni: “I più duri della mia vita”, così li descrive Abdu Moattal, padre di sei figli.

Venerdì 14 febbraio 2014: il giorno in cui il mondo festeggia l’amore, un elicottero, con il suo carico di barili esplosivi, compare nei cieli di Aleppo per fare gli auguri alla famiglia di Abdu, lasciandosi dietro una scia di sangue e perdita. Sopravvissuto insieme a quattro dei suoi figli, Abdu inizia a cercare Asma e Nadima, le figlie più grandi, disperse.

Asma, la maggiore, si stava pettinando i lunghi capelli in strada, davanti casa, un attimo prima che il barile esplosivo la prendesse in pieno, facendola a pezzi. All’inizio, i genitori non ne ritrovano che alcune ciocche di capelli. Poi, rivolgendo lo sguardo al foro lasciato dalle schegge in un cartellone pubblicitario su un negozio, fanno l’amara scoperta: i resti della ragazza sono finiti proprio su quel cartellone. Sua madre rimane incosciente per ore.

Nadima, l’altra figlia dispersa, non riescono a trovarla. Suo padre crede sia diventata un tutt’uno con le macerie. Qualcuno, però, gli dice di aver visto una persona trarla in salvo: Abdu inizia a cercarla e, alla fine, scopre che è ricoverata all’ospedale di Shamarin. Volto sfigurato, arti rotti, cranio, ginocchio e dita in parte fratturati: così la ritrova. Malgrado tutto, Abdu, che mai aveva perso la speranza, ringrazia Dio e scoppia in lacrime.

A raccontare dell’altra loro figlia, Bayan, di 10 mesi, è Umm Mohammad: “Non riusciva ad aprire gli occhi; credevo che avrebbe perso la vista. Mi sembrava che tutte le disgrazie del mondo fossero capitate alla nostra famiglia. Il medico, tuttavia, ci disse che stava bene e che sarebbe tornata a vedere entro tre giorni”.

Ogni membro di questa famiglia ha storie da raccontare per anni. Forse, chiunque abbia vissuto questi tempi ad Aleppo ha centinaia di storie da raccontare: storie che si aprono non con “C’era una volta”, ma con “C’era una volta una casa e una vita”.

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