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“O Mia Dolce Terra”, la pièce teatrale di Amir Nizar Zuabi ci porta in Siria

Di Micheal Billington. The Guardian (15/04/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

In copertina, la protagonista della piéce Corinne Jaber fotografata da Tristram Kenton per The Guardian

Come presentare la situazione siriana su un palco? La risposta – in questa straordinaria pièce concepita e recitata da Corinne Jaber, scritta e diretta da Amir Nizar Zuabi – ci dice di concentrarci su un viaggio. Nella pièce di Zuabi “Io sono Yousef e Questo è Mio Fratello” (2010) vedevamo un uomo alla ricerca di una donna nella Palestina del 1948. Oggi, in “O Mia Dolce Terra”, una donna cerca un uomo tra Libano, Giordania e Siria.

La storia è raccontata da una donna che, come l’autrice Corinne Jaber, è siro-tedesca. Dalla sua cucina parigina, dove prepara un classico piatto di carne siriano chiamato kubah, ricorda il suo incontro con un operatore sanitario di Damasco in esilio, Ashraf. Lo aveva aiutato via Skype ad organizzare la fuga di amici siriani e per tre mesi i due erano divenuti amanti. Quando Ashraf scompare, la donna si avventura in una ricerca labirintica che la porta ad incontrare alcuni dei 2 milioni di rifugiati siriani.

In parte, la pièce parla di nostalgia come vera mancanza di casa: in uno degli episodi più toccanti, Ashraf esplora i vicoli parigini cercando di riscoprire profumi e vedute della sua terra natia. Ma nei 60 minuti della pièce si entra soprattutto in contatto con le storie dei rifugiati siriani. In un café di Beirut incontriamo un attore siriano imprigionato dal regime di Assad per il suo attivismo politico. Ad Amman è la volta di un reporter che è sfuggito alla cattura inscenando il proprio funerale. In Siria, poi, lo scenario è quello delle città devastate e della gente che afferma “La nostra rivoluzione è stata rapita”.

Le case siriane martoriate dai proiettili sono descritte come “talmente piene di buchi da sembrare del pizzo, come lingerie di cemento”. La sincronia tra la preparazione della kubah e i racconti delle storie dà l’impressione che la protagonista stia davvero cercando di comunicare quanto ha visto e sentito. Come spesso accade, anche stavolta il teatro mostra la sua capacità di prendere un evento che figura costantemente tra i titoli dei giornali e conferirgli un riconoscibile volto umano.

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