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“Mentre eravate neutrali su Yarmouk”: il commento dopo le bombe del regime

di Talal Alyan. Mondoweiss (17/01/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Mentre eravate neutrali su Yarmouk, il regime siriano gli ha sganciato contro barili esplosivi. Mohammad al-Far, Husam Abo Ahmad, Mohammad Tafori, Mohammad Suhaib al-Qides, Ala’a Fri’j: sono tutti morti, e poco dopo è morto anche Mohammad Taha, mentre manifestava pieno di frustrazione sfidando un checkpoint del regime. Forse, nella nostra ingenuità, credevamo che quando Yarmouk fosse diventata visibile, sarebbe stato pressoché impossibile negare che l’assedio le è stato imposto dal regime siriano. Invece, a finire sul podio degli accusati sono anzitutto i combattenti dell’opposizione.

Per definizione, un assedio viene forzato da una parte a danno dell’altra, imponendo una punizione collettiva. I palestinesi di Yarmouk stanno morendo di fame? Sì. Il governo sta bloccando il flusso degli aiuti? Proprio così. Chi ha la colpa se Yarmouk si trova ancora in questo stato? Il restare neutrali. I palestinesi di Yarmouk sanno che è il regime il vero responsabile per lo stato d’assedio e non possono accettare che si faccia confusione su questo punto.

Salim Salamah, palestinese di Yarmouk, mi ha detto: “Vivendo in condizioni così gravi, l’idea romantica della Palestina sta collassando: non si tratta più, per noi, di manifestare nella Giornata della Terra o difendere il sogno della terra dei nostri nonni”. Per i palestinesi della Siria questo è un punto chiaro molto più che per altri. “La gente di Yarmouk, oggi come ieri, ha visto bene da dove venivano i colpi di mortaio,” spiega Salim, “e ha sentito l’aereo da guerra avvicinarsi e bombardare l’edificio in cui viveva un mio amico del campo. Dovrebbe essere chiaro a tutti chi sono i colpevoli: Assad e le milizie di Jibril. La soluzione è limpida: riaprire Yarmouk dall’entrata Nord”.

Thaer Alsahli, anche lui palestinese di Yarmouk, è d’accordo: “Invece di usare i suoi aerei per lanciare pacchi di cibo e medicine alla gente sotto assedio, il regime li ha usati per lanciare barili esplosivi e uccidere e ferire chi non è ancora morto di fame”. Riyad al-Turk una volta ha descritto con un’espressione ormai celebre la Siria come un “regno di silenzio”. Mi chiedo se Hassan Hassan, mentre veniva torturato a morte dal regime, sia riuscito a riconoscere ciò su cui questi negazionisti sembrano essere ciechi: che forse i confini di questo “regno di silenzio” vanno ben oltre i confini della Siria.

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