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Mediterraneo: l’insufficienza europea e l’inazione araba

Unione europea immigrazione

L’ennesima “tragedia nel Mediterraneo”, come tutti i media si sono affrettati a definirla, è di certo terribile, soprattutto in termini di numero di morti, centinaia. Tuttavia, la vera tragedia è che la strage non è stata evitata. Il problema non è nuovo, per niente, e non si tratta solo dei morti annegati nel Mediterraneo, ma della una marea migratoria generata da conflitti come quelli in Siria e in Iraq: è lì che inizia il problema ed è lì che andrebbe affrontato, non sulle coste libiche o quelle italiane, quando ormai è fin troppo tardi.

Da parte sua, l’Unione Europa ha immediatamente convocato un vertice di emergenza, nel quale tra le varie opzioni è stata vagliata anche quella di un’operazione di sicurezza e difesa contro “i trafficanti di morte” delle coste libiche.

L’idea di una risposta militare arriva sempre quando ci si rende conto che non ci sono gli strumenti adatti e sufficienti per una risposta politica. E questo è certo il caso della posizione europea nei confronti dell’immigrazione illegale. L’unione per l’ennesima volta si è mostrata, e si è riconosciuta, incapace e inefficace nella sua utopica ambizione del grande progetto politico comunitario. Ci si nasconde dietro “problematiche a lungo termine” che per definizione non possono essere risolte nell’immediato, che richiedono più tempo, ma da troppo tempo.

Quindi l’Europa attaccherà gli scafisti libici, previa autorizzazione delle Nazioni Unite, che la Libia – benché manchi ancora un governo di unità nazionale –  potrà benissimo considerare come un atto di guerra. A pensarci bene, questa iniziativa, seppur circoscritta alle coste libiche, potrebbe essere un primo passo di intervento di forza nella regione MENA da parte UE.

Oltre a ciò, la decisione cardine del vertice convocato ieri a Bruxelles è stata quella di rafforzare il programma Triton, conferendogli risorse maggiori di quelle prima dedicate a Mare Nostrum, chiusa sei mesi fa, che però era un’operazione di search and rescue. Ma allora che senso ha?

Molte sono state le critiche da parte della società civile europea. Ad esempio, Alessandro Bechini, direttore dei programmi italiani della ONG Oxafm, ha criticato il fatto che invece di riattivare un’operazione come Mare Nostrum ne venga rafforzata una per il controllo delle frontiere. Da parte loro, i rappresentati UE hanno assicurato che il salvataggio di persone in mare sarà comunque assicurato, benché il mandato delle operazioni della FRONTEX risulta a molti ambiguo in questo sento. Infatti, ha commentato Amnesty International, le operazioni non saranno efficaci in termini di salvataggio “se non si estende l’area operativa alle acque alte del Mediterraneo, dove avvengono la maggior parte dei decessi”. Amnesty, e molti altri commentatori, hanno definito le misure adottate dal consiglio di ieri come “salva-faccia”. Prima dell’incontro, Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, aveva dichiarato che salvare le vite è la priorità numero uno per Bruxelles e per tutti gli Stati membri. Ma come giustamente ha fatto notare Aurelie Ponthieu, consigliere umanitario per Medici Senza Frontiere, “è stupefacente vedere come l’enorme quantità di mezzi e risorse messi a disposizione per dichiarare guerra ai trafficanti non è la stessa di quella investita per salvare delle vite”.

La dichiarazione finale del vertice di ieri, infine, invita a più solidarietà da parte dei Paesi membri UE nei confronti dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Punto nevralgico della traballante politica migratoria dell’Unione, sopratutto se di considera che in Paesi chiave per l’accoglienza di immigrati – Italia, Grecia e Francia – si stanno affacciando sulla scena politica movimenti di estrema destra e di tendenza xenofoba.

Tuttavia, mentre in Europa si è comunque palesata una qualche forma di iniziativa, anche se la volontà politica è lacunosa e tentennante, nei Paesi arabi direttamente interessati alla crisi migratoria nel Mediterraneo – non sono pochi e non poco importanti – quella volontà sembra mancare completamente.

Nella giornata di ieri, è stata solo la Libia, anzi più precisamente il governo di Tripoli – tra l’altro “non riconosciuto a livello internazionale” – a sollevare una minima obiezione all’iniziativa dei leader europei, che dopo una prima riunione lo scorso lunedì avevano già elaborato l’idea di attacchi contro le imbarcazioni degli scafisti sulle coste libiche.

L’editoriale del 22 aprile del quotidiano libanese The Daily Star aveva definito “assordante” il silenzio dei Paesi arabi nei confronti della questione. A colpire soprattutto il silenzio della Libia di Tobruk, l’autorità politica riconosciuta dalla comunità internazionale, che sembra non considerarsi responsabile del caos nel Paese che di fatto contribuisce alla crisi nel Mediterraneo. Da parte sua, alla Lega Araba, rappresentata in questo caso in prima linea dall’Egitto, va forse riconosciuto il “merito” di aver preso l’iniziativa approvando la creazione di una forza panaraba che agisca contro la minaccia jihadista nella regione. Ad ogni modo, è bene ricordare che il presidente Abdel Fattah El Sisi ha già bombardato la Libia qualche mese fa: anche qui, pare che la soluzione militare è l’unica contemplabile ed effettivamente contemplata.

A livello regionale, assorda anche quello dell’Unione per il Mediterraneo, che sebbene abbia espresso cordoglio per le vittime e preoccupazione per la situazione in una dichiarazione di routine, in qualità di ente di riferimento del partenariato euro-mediterraneo non ha fatto molto altro.

A proposito di silenzi, poi, sembra che il vertice UE-Africa del 22 aprile sia passato in sordina, oscurato dall’urgenza del summit del Consiglio Europeo di ieri. Eppure il tema centrale dell’incontro (svoltosi tra l’altro a Bruxelles) è stato proprio l’immigrazione, non discusso tra leader europei, ma tra rappresentanti dell’Unione Europe e dell’Unione Africana, cioè rappresentanti dei Paesi direttamente interessati. Nel suo discorso di lunedì a Montecitorio, il primo ministro italiano Mattero Renzi ha parlato di una maggiore cooperazione con Stati quali la Tunisia, l’Egitto e il Niger. A quando una riunione con i leader arabi che non sia confinata al dialogo interlibico sotto lo stretto controllo delle Nazioni Unite? Speriamo presto.

Come scritto dal ricercatore turco Cengiz Aktar sulla questione del genocidio armeno, il cui 100° anniversario viene celebrato oggi, “finché ciascun Paese non ammetterà i propri crimini, presenti e passati, non ci sarà confronto dialettico autentico”. Quello che manca qui, ed è sempre mancato, non è solo il dialogo, ma la comunicazione tra Paesi di due sponde molto più vicine di quanto si voglia dare a vedere e che continuano a pensare alle soluzioni drastiche e a breve termine come l’unica via possibile per anche solo approcciarsi alle crisi della regione. Quanto a risolverle, poi, è un’altra storia.