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Medio Oriente: verso una Terza Intifada? Una conversazione con Dominique Vidal

Di Marco Cesario

L’attacco terrorista alla sinagoga nel sobborgo di Har Nof, in cui hanno trovato la morte quattro rabbini ed un poliziotto druso, segna una nuova ennesima tappa nell’escalation di violenze che si perpetrano in Terra Santa dalla fine delle ostilità a Gaza

Si tratta di un attentato orribile poiché avviene in un luogo di culto, un luogo in cui i fedeli sono stati colpiti ed uccisi a caso da assassini. Ma è soltanto l’ultima drammatica tappa di una serie di atti terribili. Penso in particolare all’uccisione a sangue freddo commesso dalla polizia israeliana di un giovane palestinese che una telecamera di sorveglianza ha filmato e che tutti hanno potuto vedere su internet. Penso anche alla distruzione di case palestinesi, alla macchina che investe passanti a Gerusalemme. A mio avviso è molto importante comprendere però quali sono gli elementi che fungono da detonatore di questa esplosione e qual è il barile di polvere da sparo.

Quali sono le scintille che hanno provocato quest’esplosione?

Tra gli elementi che fungono da detonatore c’è sicuramente il recente blitz alla Spianata delle Moschee da parte di gruppi di ebrei ultraortodossi ed ultranazionalisti di cui alcuni non nascondono neppure il proposito di voler distruggere tutte le moschee che sorgono sulla Spianata per ricostruire il Tempio. Occorre ricordare che dal 1967 il Rabbinato vieta espressamente agli ebrei di salire sulla Spianata. Ufficialmente la ragione è quella che nessun ebreo deve calcare il suolo sacro dove sorgeva il Tempio di Salomone ma in realtà si trattava per le autorità israeliane dell’epoca di evitare incidenti attorno ai luoghi santi, tra cui il terzo luogo più sacro per l’Islam. Questi blitz sono vere e proprie provocazioni perché questi gruppi di fedeli ultraortodossi ed ultranazionalisti non salgono da soli sulla Spianata. Se la polizia li fa entrare e li scorta vuol dire che ci sono direttive precise del ministero degli interni israeliano. La polizia non può prendere da sola una decisione del genere. Sono provocazioni belle e buone avallate dal governo israeliano.

Seguendo la sua metafora, qual è il barile di polvere da sparo?    

Innanzitutto il fallimento dei negoziati avviati dal segretario di stato americano John Kerry, negoziati sabotati espressamente dal primo ministro israeliano Benjamin Netanayahu. Ciò ha privato i Palestinesi di giungere ad una soluzione negoziata. Poi c’è ovviamente l’aggressione militare contro Gaza che è costata tantissime vite umane. Più di 2.100 morti di cui il 70% di civili (di cui più di 500 bambini ed adolescenti), distruzioni massicce, tra i 5 ed i 7 miliardi di dollari di danni. E l’inverno alle porte. Ricordiamo che ci sono oltre 100.000 palestinesi senza tetto di cui alcune migliaia sono da luglio scorso nelle scuole dell’ONU. Purtroppo i media mettono l’accento soprattutto sugli atti compiuti contro Israele ma c’è stata una serie di provocazioni israeliane dalla fine della guerra contro Gaza. Penso ad esempio all’annessione di 400 ettari di territorio palestinese, la più grande dal 1967, penso all’annuncio della costruzione di centinaia di alloggi all’interno delle colonie, penso alla confisca delle case palestinesi in quartieri sensibili di Gerusalemme Est. Tutto ciò non ha fatto altro che far aumentare la tensione.

Un nuovo fronte di tensione è quello che concerne gli arabi-israeliani. Dallo scoppio della guerra contro Gaza, che ha provocato veementi proteste, fino ad una vera e propria discriminazione all’interno della società israeliana. Un esempio è la decisione del sindaco di Ashkelon di bandire, in via provvisoria, gli operai arabi dal lavoro negli asili nido della città durante le ore scolastiche.

Ciò che colpisce dallo scoppio dell’operazione Bordo Protettivo è il numero di manifestazioni di Palestinesi israeliani che protestano contro i blitz degli ultraortodossi sulla Spianata o contro la repressione da parte delle forze di polizia israeliane. La decisione del sindaco di Ashkeon, dal punto di vista della legge israeliana, è completamente illegale. Scacciare dei lavoratori palestinesi dal proprio luogo di lavoro è contrario alla legge israeliana, che in linea teorica fornisce uguali diritti a tutti i cittadini. Questo, certo, solo in linea teorica perché sappiamo bene che nella pratica non è così. Dall’accesso all’impiego, ai finanziamenti per la costruzione di alloggi all’istruzione e alla sanità, gli arabi-israeliani subiscono discriminazioni di tutti i tipi. La sola cosa che resta inalienabile è il diritto di voto e il diritto di essere eletti alla Knesset. Questa decisione del sindaco di Ashkelon è solo un’altra dimostrazione che gli arabi-israeliani sono considerati come cittadini di serie B. Ma occorre evidenziare che a livello politico, lo stesso Netanyahou ed altri responsabili politici israeliani hanno condannato questa decisione. Lo stesso presidente israeliano Rivlin, che ha condannato ugualmente la decisione del sindaco di Ashkelon, ha moltiplicato i gesti di riappacificazione. Un esempio, la sua visita al villaggio di Kafr Kassem dove negli anni ’50 le truppe israeliane compirono un massacro (47 arabi israeliani furono abbattuti dalla polizia israeliana di frontiera ndr). Questo indica anche una svolta, anche se minore, del comportamento dei responsabili politici israeliani, una svolta di fronte alla paura dello scoppio di una Terza Intifada e dell’isolamento internazionale.

Esistono a suo avviso gli elementi per lo scoppio di una Terza Intifada?

Difficile prevedere se scoppierà o meno una Terza intifada. Ricordo che la Prima Intifada scoppiò dopo un incidente tra una jeep militare israeliana ed un taxi collettivo palestinese (morirono quattro palestinesi ndr), l’incidente fece scoppiare un’intifada che durò più di 5 anni. La Seconda Intifada scoppiò dopo la visita d’Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee. C’è in quest’ultima un elemento comune a quanto accaduto nelle settimane scorse. Una cosa si può dire con certezza: le condizioni per l’esplosione di una Terza Intifada sono riunite tutte. Ed in quel caso la comunità internazionale, che già si sta muovendo attraverso il voto simbolico di diversi parlamenti per riconoscere lo stato palestinese, forse sarebbe costretta ad intervenire in maniera forte per mettere fine all’escalation di violenza ed imporre una pace duratura tra i contendenti.

 

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Giusy Regina

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