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Medio Oriente: morte per identità

Di John Bell. Al-Jazeera (17/06/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Il Medio Oriente sta sperimentando un’altra delle sue periodiche convulsioni. La regione passa da crisi in crisi, ma i recenti eventi in Iraq potrebbero rappresentare un vero spartiacque geopolitico che lascia gli attori chiave nel caos.

Dopo una spesa complessiva di 1 trilione di dollari, le speranze degli USA per l’Iraq sono annientate. La strategia iraniana, basata sulla diplomazia intelligente e sull’espansione dell’influenza regionale, è minacciata dalla disintegrazione di un alleato cruciale. La diplomazia regionale della Turchia è ridotta a brandelli e le potenze arabe sono assenti. Oggi non c’è una forza arabo-sunnita in grado di competere con l’ISIS. Si sta già parlando di una cooperazione USA-Iran e probabilmente ci sarà un ulteriore coordinamento con la Turchia per contenere questo flagello radicale. Tuttavia, anche l’Egitto e l’Arabia Saudita devono far parte del gioco, in quanto Stati sunniti fondamentali, malgrado la loro attuale debolezza.

La realtà è che questa regione è affetta da una malattia più profonda. I popoli del Medio Oriente soffrono di un’esagerata identificazione con i gruppi, che siano politici, religiosi o politico-religiosi. I miti e le tradizioni di qualsiasi setta, tribù o nazione non sono solo vivi e vegeti, ma riaffermati quotidianamente dagli strumenti della modernità. Pochi sanno come affrontare politicamente qualcuno al di fuori del proprio gruppo. Che si tratti di sunniti, sciiti, drusi, cristiani, ebrei, curdi o sotto-sette, a tutti viene inculcato di escludere (e quindi svalutare) chi non ne fa parte, e non di tollerare la differenza o di partecipare a una causa più grande.

La sfiducia è la conseguenza naturale di queste linee di demarcazione tra “noi” e “loro”. Infrangere gli accordi, qualora necessario, è giustificato in nome della sopravvivenza del gruppo. Tutto è temporaneo, soprattutto le alleanze, pertanto è molto difficile trovare un terreno comune. Quanto passerà prima che in Iraq i baathisti e l’ISIS comincino a litigare e lottare l’uno contro l’altro? L’improvvisa espansione dei jihadisti lungo metà dell’Eufrate dovrebbe servire da campanello d’allarme per l’infruttuoso comportamento mediorientale volto a perseguire i propri fini ad esclusione degli altri.

Malgrado le pretese, la realtà è che nessuno in Medio Oriente, non un singolo governo, sta creando con successo un contesto di accettazione dell’altro. Le istituzioni democratiche e le idee come il pluralismo sono vive e vegete fintantoché vengono rispettate. Ma in Medio Oriente la fedeltà al gruppo ha ogni volta la meglio.

L’unico rimedio è che i popoli della regione imparino che l’appartenenza al gruppo ha i suoi limiti e che un eccesso di identità può portare a una grave cecità nei confronti degli altri. Nessuno sta nemmeno pensando di seguire questa strada perché si teme di sminuire ciò che si ha di più caro: il proprio gruppo, la propria cultura e storia. Sfortunatamente, il Medio Oriente oggi è la prova che quello stesso strumento, un tempo cruciale per la sopravvivenza e per il gruppo, è diventato un mezzo di autodistruzione.

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