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Il Marocco ha finalmente un nuovo governo, ma a che prezzo?

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L’annuncio della creazione di un nuovo governo in Marocco è segno che il Partito islamista per la Giustizia e lo Sviluppo potrebbe aver pagato un prezzo molto alto per scendere a compromessi

Di Imad Stitou. Al-Monitor (12/04/2017). Traduzione e sintesi di Antonia M. Cascone.

Dopo mesi di dispute sulle nomine, il Marocco ha finalmente un nuovo gabinetto e un nuovo primo ministro, nonostante qualcuno abbia descritto il risultato come una “pericolosa battuta d’arresto per la democrazia”. Quando il partito al potere, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD), di matrice islamista, non è riuscito a portare avanti i negoziati per la creazione di un nuovo governo, il re Mohammed VI ha destituito il primo ministro Abelilah Benkirane, rimpiazzandolo con il secondo in comando, Saadeddine El Othmani. Il nuovo gabinetto, annunciato il 5 Aprile, è composto da 39 membri, di cui 13 al loro primo incarico, a rappresentanza di 6 dei 10 partiti che hanno preso parte all’elezione.

Il PJD, guidato da Benkirane, aveva più volte rifiutato le proposte degli altri partiti, spalleggiati dal re, rifiutandosi, ad esempio, di includere l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP) nella coalizione di governo. Ma, infine, sembra che abbia dovuto scontrarsi con la realtà, in quanto ulteriori opposizioni gli avrebbero inimicato il sovrano e avrebbero violato i principi politici propri al partito stesso, che ha optato così per una riforma graduale. Di conseguenza, gli islamisti sono stati costretti ad accettare le richieste del re, relegando il partito a un ruolo limitato che non si sposa né con la sua base pubblica, né con il suo peso elettorale. Othmani ha acconsentito a coinvolgere l’USFP nella coalizione di governo, scendendo a compromessi e facendo concessioni piuttosto dolorose, le cui ripercussioni future potrebbero essere pesanti. Una parte del PJD ha definito queste concessioni “sleali, opposte all’approccio di Benkirane”.

Benkirane, islamista moderato, aveva più volte prospettato che il tentativo di disegnare una nuova mappa politica avrebbe trasformato il PJD in una minoranza all’interno del governo, nonostante i suoi 125 seggi parlamentari, su un totale di 395. Aveva ragione: il blocco di quattro partiti guidato da Aziz Akhannouch (leader del Raduno Nazionale degli Indipendenti), supportato dal re, ha ottenuto tutti i dicasteri strategici, oltre a un totale di 17 ministri, contro gli 11 del PJD.

Abdul Rahim al-Allam, un ricercatore di scienza politica all’università di Cadi Ayyad a Marrakesh, ha fatto notare che il re ha raggiunto i suoi obiettivi, indebolendo gli islamisti e sbarazzandosi del talvolta recalcitrante, ma parecchio popolare, Benkirane. “Questa è, senza dubbio, la prima reale crisi interna che il partito islamista ha dovuto affrontare dal suo primo insediamento nel 1998”, ha detto Allam ad Al-Monitor. L’accordo dei membri sulle condizioni che Benkirane aveva precedentemente rifiutato confermano, infatti, la versione dei suoi avversari, che lo incolpavano personalmente per lo stallo nella formazione del governo. Il governo di Othmani, ha inoltre puntualizzato Allam, non gode della stessa popolarità di quello del precedente leader: la situazione non sembra molto promettente per gli islamisti.

Bilal al-Talidi, ex editore del giornale filo islamista Al-Tajdid, ha affermato che, sebbene il PJD stia attraversando un momento delicato, non si aspetta divisioni interne, convinto che la prossima conferenza nazionale del partito, a Settembre, sarà decisiva per determinarne le linee guida politiche. “È un momento di pericoloso regresso per la democrazia, che richiede una rivalutazione della transizione democratica”, ha detto poi, aggiungendo che l’imminente conferenza determinerà il modo migliore di affrontare le circostanze attuali. “Le opzioni suggerite contemplano la possibilità di un ritorno di Benkirane come leader del partito. Tuttavia credo che il PJD rimarrà unito”. Talidi ha affermato inoltre la sua convinzione che Benkirane abbia fatto un passo indietro e non abbia espresso una posizione ferma in seguito alla sua destituzione, in quanto preferisce evitare di scontrarsi con il sovrano o con Othmani. È per questo che non ha partecipato alle deliberazioni di Othmani con gli altri partiti o agli incontri per scegliere i dicasteri dei partiti.

Le speranze del PJD sono tutte rivolte all’imminente conferenza, che con ogni probabilità sarà decisiva. Il partito è diviso in diverse correnti. Una è guidata dai sostenitori di Benkirane, che vogliono che egli rimanga a capo del partito e si distanziano dall’attuale governo. L’altra corrente vuole indebolire il PJD e afferma che il partito ha il dovere di supportare il governo, nonostante non vi partecipi se non in maniera modesta.

Imad Stitou è uno scrittore e giornalista marocchino.

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