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‘-M-L, fare il lavoro

‘amila. “Lavoriamo…” – un augurio, quasi un invito, questo che Enzo Biagi rivolse a sé stesso, la prima volta che tornò in tv dopo tanto tempo lontano dal suo lavoro. Più che gli applausi, più dei “Bravo!”, era questo che desiderava, lavorare: ‘amila, in arabo. A me ha sempre colpito che la Costituzione egiziana del 1971 riservasse ai lavoratori, gli ‘ummal, già la seconda frase della “Proclamazione” iniziale, sentite quant’è propulsiva: “Noi, il popolo che lavora nei villaggi d’Egitto, nelle città, gli impianti, i centri d’educazione, l’industria ed in ogni singolo campo lavorativo che contribuisce a generare la vita sul suo suolo e condivide l’onore di difendere questa terra”.

I lavoratori egiziani sono davvero un simbolo della forza di ‘amila. Cinque, sei anni prima che scoppiasse la rivoluzione del 2011, gli operai della grande industria tessile di Mahalla el-Kubra, protestando, diffusero un clima di cambiamento ovunque attorno a sé. Ricordo un intervento del giovane giornalista egiziano Hossam el-Hamalawy, diceva che in quei giorni bastava che la gente sentisse pronunciare la parola “Mahalla” per provare rispetto e ammirazione per quegli operai. Ancora oggi si racconta che il giorno della protesta, il reparto femminile della fabbrica si diresse verso quello maschile, cantando scherzosamente: “Dove sono gli uomini?! Le donne sono qui!”, comunicando così che quelle lavoratrici erano pronte e decise a manifestare per le proprie condizioni di lavoro. Tornano alla mente le parole della poetessa italiana Cristina Campo, quando incarnando il senso di ‘amila scriveva all’amica Mita: “C’è molto da lavorare, certo – ma non è questo il più grande motivo di gratitudine? Auguriamoci, cara, di poter lavorare!”.

‘aml, il lavoro e l’attività, è anche l’azione, l’atto, il gesto. Come l’atto dei negozianti siriani, che perdono il guadagno tenendo la saracinesca abbassata, smettendo di lavorare alcuni giorni per protesta contro il regime. L’esercito sfonda quei negozi chiusi, sapendo cosa significano. Poi penso ai manovali di Dubai, l’altra faccia di una città che mostra solo lo sfarzo: lavoratori immigrati senza diritti, stipati in una stanza, il cui datore di lavoro spesso trattiene i documenti così da poterli ricattare. E sono gli stessi operai che quello sfarzo ogni giorno si sforzano di costruirlo.

Un giorno Mohamed Choukri andò a visitare la casa del pittore Antonio Fuentes. Passarono accanto a degli uomini che stavano imbiancando i muri della moschea Jame’ Jadid, ed il pittore chiese loro la benedizione di Dio. Poi spiegò a Choukri e ai suoi amici: “Per i marocchini il lavoro è sacro. Lavorare è lo stesso che pregare” (qui il testo intero in spagnolo). Ciò che ‘amila riesce a trasmettere è stato espresso bene dai versi di Allen Ginsberg, che in Marocco (Tangeri) ha vissuto come molti poeti e scrittori americani ed europei: “Be’, già che son qui farò / il lavoro – e qual è il Lavoro? / Alleviare la pena di vivere. Tutto il resto, ubriaca / pantomima”.