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L’Unione del Maghreb, un imperativo vitale

Bardo tunisia maghreb

Di Aziz Daouda. Al Huffington Post Maghreb (31/03/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Maghreb AraboQuasi 20 morti, più di 40 feriti, centinaia di persone traumatizzate a vita, un intero popolo tradito, ferito. Ecco il bilancio di un nuovo massacro, l’ennesimo, quello del museo del Bardo in Tunisia.

Il colpo è meschinamente riuscito. Le vittime sono cittadini di cinque continenti: giapponesi, colombiani, polacchi, francesi, italiani, spagnoli, australiani e ovviamente tunisini, tutti nuotano nello stesso mare di sangue. La Tunisia si appropria di un triste primato, quello del numero di vite spezzate in un attentato sul suo territorio.

Tunisi ha vissuto quattro ore di orrore, terrore, barbarie. La rabbia non si placa, lo stupore è lo stesso di quel giorno. Un atto perpetrato da due figli della Tunisia. Cosa giustifica questo genere di comportamenti? Cosa può spiegare tanto odio, legittimare una tale barbarie? Cosa può spingere un giovane a suicidarsi e a togliere la vita agli altri?

Questo attacco così vigliacco ha preso di mira uno dei luoghi più alti della cultura e della storia dell’Africa del Nord, il museo del Bardo. Degli innocenti hanno perso la vita solo perché, mentre lo visitavano, hanno incrociato il cammino di criminali senza fede né legge, degli assetati di sangue e d’orrore.

Ora tutta la nazione tunisina è in preda allo sconcerto e cerca di rinsaldare le fila, di mostrare la sua unità, di esprimere la sua maturità politica, il suo grado di civiltà, di far ripartire le risorse. L’economia non ripartirà così presto, eppure i suoi giovani hanno tanto bisogno del turismo per lavorare, per vivere. Fino a poco tempo fa, il turismo rappresentava il 10% del PIL di questo bel Paese.

Cosa è successo perché noi maghrebini, i più avanzati, liberi ed evoluti del mondo arabo, diventassimo il bersaglio dell’oscurantismo e del terrore? Cosa è successo perché questa regione del mondo diventasse terreno di tali comportamenti, trasformandosi in fucina di migliaia di criminali fanatici? Come si arriva ad instillare tanto odio nel cuore dei giovani, nati per gioire della vita?

L’Algeria è sempre preda di frequenti atti terroristici. Il Marocco ha già pagato a più riprese ed è costantemente minacciato. La Libia è semplicemente smembrata. Nemmeno la Mauritania è sfuggita alla viltà degli assassini. La Tunisia ha appena vissuto un ennesimo atto di terrorismo. Ancora una volta, il Maghreb è colpito nel profondo dell’animo.

Quanti gioiscono di tali atti e li trovano legittimi? Dove sono, chi sono, dove si nascondono? Lo Stato tunisino ha i mezzi per affrontare questa avanzata del terrorismo, questa nebulosa di cui non si conoscono le componenti, le fonti di finanziamento, i fornitori di armi? Un’avanzata imprevedibile, che colpisce sempre là dove fa male, molto male.

Questa realtà dei fatti non è una ragione sufficiente per rilanciare in maniera seria l’idea del Grande Maghreb, garanzia di dinamizzazione della crescita economica nella regione e dunque sinonimo di lavoro, di dignità per i nostri giovani, di pace e serenità?

Ciò che sta accadendo va considerato come una conseguenza delle nostre divisioni e delle frustrazioni dei nostri giovani, i primi a soffrire della mancanza di risposte politiche alle loro aspettative. Giovani che prima di essere travolti dall’oscurantismo, non vogliono altro che integrarsi nella comunità e vivere una vita normale. In questa situazione va visto il fallimento del nostro sistema scolastico, della nostra concezione dell’istruzione, del nostro rapporto con la cultura, la religione e con l’umanesimo in generale.

Nel frattempo, i tunisini cercano di spiegare, a chi vuole ascoltarli, che hanno bisogno della solidarietà di tutti. Il presidente tunisino, per rassicurare i suoi e gli altri, promette di sradicare il terrorismo sul suo territorio. Ma questo è un altro paio di maniche.

Aziz Daouda, ex atleta ed allenatore marocchino, è direttore tecnico della Confederazione Africana d’Atletica.

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