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L’ultima opportunità per la Libia

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Di Pierre Akiki. Al-Araby al-Jadeed (02/04/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone.

Lo scenario libico è tornato con forza alla ribalta nell’ultima settimana, con la costituzione del Governo di Unità Nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, entrato nella capitale Tripoli per la prima volta dal suo annuncio, risalente allo scorso gennaio. La comunità internazionale, e in particolar modo i paesi europei, si sono congratulati per la decisiva svolta del governo, orientato all’attuazione di misure più concrete per il futuro del paese.

Sarraj ha a disposizione un periodo di tempo piuttosto breve per risolvere le questioni politiche nella Libia occidentale, con l’obiettivo di non perdere il reale senso della sua presenza, ossia quello di costituire un governo unico, non l’ennesima fazione tra quelle che continuano a moltiplicarsi dal febbraio del 2011. Lo scopo fondamentale del governo sarà quello di assicurarsi la lealtà di Tripoli e delle regioni costiere occidentali, cosa che gli permetterà di acquistare un margine di potere nei negoziati con l’est del paese per porre fine alla divisione del legislativo e dell’esecutivo.

È chiaro a tutti che la portata della scommessa che incombe su Sarraj è enorme, e ciò implica che un suo eventuale fallimento sarebbe ugualmente grande. In linea di massima, la regione da cui cominciare a lavorare per porre fine alla profonda spaccatura in Libia è quella di Sirte, sede delle milizie di Daesh (ISIS) e considerata dall’Europa, e specialmente dall’Italia, un’area dalla massima importanza. Il ruolo strategico di Sirte supera persino quello dei confini marittimi tra Grecia e Turchia, oggetto del recente accordo turco-europeo sui rifugiati. Come sottolineato dal ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, per gli europei in Libia è impossibile l’intesa con qualsiasi autorità che non sia in grado di gestire la situazione e impedire la partenza di circa 8.000 profughi dalle coste africane.

In realtà, è altamente improbabile che il governo di Sarraj sia in grado di consolidare la propria presenza nel paese, ed è questo che verrà alla luce nel prossimo periodo, specialmente perché in Libia sono ancora le milizie ad avere l’ultima parola e non c’è posto per le operazioni politiche ufficiali, cosa che spingerà il Governo di Unità Nazionale a chiedere un aiuto militare esterno, con la pretesa della “lotta al Daesh”.

Qualsiasi campagna militare occidentale, però, non può ignorare paesi fondamentali quali la Tunisia, dove la regione di Ben Guerdane (al confine con la Libia) è diventata, per certi versi, più pericolosa dell’area del monte Chaambi. Il paese non si assumerà la responsabilità di ampliare le proprie operazioni militari in Libia senza avere la garanzia della stabilità dei propri confini, nonché la certezza di un aiuto esterno. Anche le autorità algerine stanno lavorando per giungere a una soluzione politica in Libia, cercando in ogni modo di evitare l’indebolimento dei confini. L’Egitto di El Sisi, principale alleato della Libia orientale, ha invece annunciato che non supporterà alcun intervento militare che non faccia capo al generale Khalifa Haftar, considerato come la “guida dell’esercito nazionale”. È possibile interpretare la decisione dell’Egitto come espressione della volontà di preservare la sua posizione e la sua influenza regionale, anche per sopperire alla sua incapacità di risolvere definitivamente la caotica situazione della penisola del Sinai.

La situazione potrebbe essere quanto mai proficua proprio per Daesh: l’organizzazione, infatti, sta subendo severe perdite in Iraq e Siria, dove è costretta a retrocedere dai territori conquistati, ma la Libia potrebbe essere, nel suo caos, la regione fondamentale nella quale consolidare la propria presenza e dalla quale minacciare l’Europa.

Pierre Akiki è un giornalista libanese.

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