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La lotta contro la corruzione nei Paesi della primavera araba

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Di Noureddine Miladi. Middle East Monitor (08/02/2016). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Una delle richieste fondamentali che nel 2011 aveva spinto la gente a scendere in piazza nei Paesi della primavera araba era quella di sradicare la corruzione. Si auspicava che, in quella parte del mondo, si sarebbe tentato seriamente di fermare ogni forma di condotta immorale.

Grazie alla rivoluzione tunisina abbiamo saputo che il deposto presidente Ben Ali e la sua famiglia avevano ammassato miliardi in dinari tunisini, dollari statunitensi e altre valute europee sottraendoli ai fondi pubblici. La rivoluzione libica ha rivelato, fra lo stupore generale, che Gheddafi possedeva oltre 100 miliardi di dollari, oltre a sfarzosi castelli utilizzati della sua famiglia mentre lui fingeva di condurre una vita modesta (in una tenda araba). L’ex ministro egiziano dell’interno, Adli Mansur, è sotto processo per aver rubato oltre 2 miliardi di dollari dopo la rivoluzione del 25 gennaio. Secondo una recente relazione dell’ONU Abdallah Saleh ha accumulato 60 miliardi di dollari durante i trent’anni al potere che ora investe per finanziarie le sue milizie che stanno devastando lo Yemen. Durante il governo di Nuri Al-Maliki, sono spariti in Iraq più di 100 miliardi di dollari, mentre il governo aveva difficoltà a pagare gli stipendi dei suoi dipendenti.

Cinque anni dopo la primavera araba, la corruzione sembra essere in aumento in Tunisia, Egitto, Libia, Iraq, Siria e Yemen. Nell’Indice di percezione della corruzione 2015, l’Iraq si è classificato al 16° posto, la Siria al 18°, l’Egitto al 36° e la Tunisia al 38° posto.

Occorre, tuttavia, precisare che la corruzione è salita vertiginosamente per diverse ragioni. Innanzitutto sono mancati rigorosi meccanismi di controllo volti a monitorare le condotte fraudolente. È aumentata l’evasione fiscale in tutti i settori e sono riapparse le tangenti dopo essere sparite, sebbene per poco tempo, tra il 2011 e il 2012. In secondo luogo, i governi democraticamente eletti, come nel caso della Tunisia, non hanno finora adottato provvedimenti rigorosi a carico di politici corrotti, impiegati pubblici e ben noti familiari del deposto presidente Ben Ali accusati di corruzione. Inoltre, le potenze occidentali non hanno contribuito molto a ridurre la corruzione in questi Paesi, in parte perché ne erano già a conoscenza prima che scoppiassero le rivoluzioni, ma nonostante ciò avevano continuato a sostenere quei regimi.

Affinché i paesi della primavera araba possano prosperare e stabilire un sistema giusto devono sradicare la corruzione stabilendo forti meccanismi per combatterla. I regimi dittatoriali hanno creato sistemi di riciclaggio difficili da scoprire. È pertanto necessaria la collaborazione delle autorità di applicazione della legge, agenzie governative, parlamento e società civile e coloro che lavorano negli organismi di lotta contro la corruzione devono essere protetti in forma adeguata.

Il Regno Unito e altri paesi europei si sono adoperati per svelare fondi corrotti e segnalarli ai paesi della primavera araba. Ma ciò che è stato svelato è solo la punta dell’iceberg.

I governi democraticamente eletti nei paesi della primavera araba dovrebbero inculcare la cultura della trasparenza in seno alla società a partire dal sistema di istruzione. La lotta contro la corruzione e la condotta fraudolenta dovrebbe essere oggetto di interesse non solo dei media, del sistema giudiziario e dei decisori politici, ma anche delle organizzazioni della società civile, del sistema di istruzione e di tutti i cittadini.

Noureddine Miladi è docente di media e comunicazione.

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