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Lo Yemen tra le illusioni di pace e le realtà della guerra

Yemen

Di Nabil al-Bakiri. Al-Araby al-Jadeed (11/07/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Cascone.

Più di settanta giorni sono passati dal 21 marzo scorso, quando la delegazione yemenita si è recata in Kuwait. Allora l’inviato delle Nazioni Unite, Ismail Ould Cheikh, era addirittura ottimista circa l’imminente breccia nel muro del rigido colpo di Stato e circa la creazione di un progetto di pace, la cui realizzazione si basava principalmente sulla sua approvazione da parte di tutti.

Ma ogni ottimismo è stato fugato dal capo della delegazione per la legittimazione, il ministro degli Esteri yemenita, Abdulmalik al-Mekhlafi, che ha affermato che Ould Cheikh ha perso ogni credibilità agli occhi della sua delegazione, chiaro segnale del fallimento dei negoziati di pace.

Parlare di pace in un’atmosfera di guerra feroce, che non si ferma neanche un attimo, nonostante i costanti annunci di tregua, è un chiaro segnale della mancanza di qualsiasi volontà reale di ottenerla, in pratica. È chiaro che le illusioni di pace non possono in alcun modo oscurare le realtà di una guerra che si basa su criteri settari. Affrettarsi a parlare di pace, nel caso dello Yemen, non è che un’enorme trappola, e non impedirà al paese di piombare in una spirale di caos addirittura peggiore a quella in cui si trova attualmente l’Iraq, trascinando in tutta probabilità l’intera regione in una guerra civile e settaria verso cui è già spinta, sia dall’Iran che dai suoi nuovi alleati occidentali, in particolare gli Stati Uniti.

Nello Yemen, come in tutta la regione, dalla pace dipende il ripristino dello Stato e il ritorno della legittimità, dunque il fallimento del colpo di Stato perpetrato delle milizie e dall’Iran. Quest’obiettivo non può essere raggiunto senza una chiara visione strategica della coalizione araba, in particolare con un attivo interessamento dell’Arabia Saudita, soprattutto a seguito del crollo di Iraq e Siria e della perdita di Egitto e Libia.

Le garanzie offerte dagli Houthi all’Arabia Saudita non sono che la quiete prima della tempesta: il reale obiettivo di queste milizie è quello di riacquisire il proprio ruolo quale più forte carta iraniana nella regione, dopo Hezbollah in Libano. Nel caso passi il progetto di pace, che concede a queste milizie settarie la legittimità di un potere effettivo, esse gestiranno una grande porzione dello Stato yemenita, detenendone il controllo, senza assumersi alcuna responsabilità nella ricostruzione dell’apparato di sicurezza e nel rafforzamento della stabilità della regione. Di fatto, si trasformeranno in quanto di più simile a un fronte iraniano nella regione, per stringere la presa su di essa sia a sud che a nord.

L’unica soluzione in Yemen è quella di intervenire militarmente, e ritardare tale intervento significa solo dare maggiori opportunità alle pressioni internazionali che offrono supporto alle milizie, con il pretesto di fermare la guerra, di difendere i diritti umani, o di combattere il terrorismo.

Oggi, avviarsi verso una pace fittizia potrebbe non essere la scelta migliore per la regione. Continuare la guerra, anzi, è preferibile al realizzare questa presunta pace, date le molte implicazioni che ne deriveranno, in primo luogo il successo del progetto iraniano di annettere lo Yemen alle sue aree di influenza, cominciando a smantellare i paesi del Golfo dall’interno e consolidando il potere sulla regione araba all’ombra del caos e della devastazione di cui continua ad essere vittima.

Nabil al-Bakiri è un giornalista e analista politico yemenita.

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