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La lingua araba in bilico

Di Hassan Asfour. Al-Quds al-Arabi (28/05/2014). Traduzione e sintesi di Caterina Ielo.

Tra le cose peggiori di cui l’essere umano può essere privato vi è la sua identità e la cosa che più caratterizza l’identità dell’uomo è la lingua. A mio parere, la lingua non ha più il significato datole da Ibn Janni: “Un insieme di suoni che ogni popolo riconosce per esprimere ciò di cui ha bisogno.” Così dicendo egli ne ha limitato il ruolo al solo obiettivo di soddisfare dei bisogni, senza includere il concetto di continuità della lingua, ovvero la necessità di alimentarla ogni giorno per renderla fruibile in ogni epoca. In caso contrario, infatti, questa sarà destinata a scomparire come in passato sono scomparse numerose lingue fra cui l’Aramaico, il Fenicio e l’egiziano antico.

La lingua araba è considerata la lingua semitica più antica e la più diffusa allo stato attuale, oltre ad essere la più densa dal punto di vista linguistico. Secondo il libro “Fatti del mondo” (the World Fact book), pubblicato annualmente dalla CIA, l’arabo è la quarta lingua più parlata al mondo dopo il cinese mandarino, lo spagnolo e l’inglese. L’enciclopedia online di Microsoft, Encarta, nel 2006, ha evidenziato che il numero complessivo di parlanti di arabo è di ben oltre 400 milioni, compresi coloro che lo parlano come seconda lingua e le minoranze arabe diffuse in varie parti del mondo. Inoltre, l’arabo è tra le sei lingue ufficiali utilizzate dalle varie organizzazioni delle Nazioni Unite.

Non dobbiamo farci rassicurare dal numero di parlanti della lingua araba, poiché il problema è che tale lingua non si trova al passo con i tempi, soprattutto in campo scientifico e tecnologico. Oggi, ad esempio, un ingegnere arabo non riesce a dire nella sua lingua d’origine le componenti di un determinato strumento, ma preferisce usare il francese o l’inglese, così come un medico non riesce a spiegare in arabo moderno la condizione di un malato.

In conclusione, mi sento di dire che la lingua araba è tra due fuochi: il divario culturale esistente tra la lingua in sé e l’epoca in cui viviamo da una parte, e il numero dei suoi parlanti. Tale numero non deve far acquietare gli animi ma, al contrario, farci riflettere sull’importanza della lingua. C’è solo un modo per farla avanzare: nutrendola!

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