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L’informazione in linea, l’altro conflitto siriano

Le Monde (13/08/12). Di Shahzad Abdul. Traduzione e sintesi di Alessandra Cimarosti.

“Internet sarà il miglior amico dei tiranni”, aveva predetto qualche anno fa Evgeny Morozov, ricercatore bielorusso specializzato nelle implicazioni politiche e sociali delle nuove tecnologie. Durante le rivolte nel Maghreb e nel Medio Oriente, spesso etichettate “2.0”, i social network e gli smartphone hanno giocato un ruolo importante nelle mobilitazioni popolari. In Siria, il potere baathista sembra aver fatto tesoro delle lezioni della “primavera araba”.

Oltre al conflitto armato tradizionale, quello combattuto sul terreno, si è formato un secondo fronte, sul net, dove si moltiplicano false informazioni, manipolazioni, propagande e contro-propagande. Difficile distinguere il vero dal falso. Un esempio è stata la rocambolesca storia del generale russo Vladimir Petrovitch Kotchiev, dato morto da un gruppo armato dell’opposizione, che ha dovuto dimostrare la propria esistenza partecipando ad un conferenza stampa televisiva.

La cyber-dissidenza, secondo Mathieu Guidère, geopolitologo e specialista del mondo arabo, è condotta “soprattutto da giovani intellettuali della classe medio-alta, aiutati da una forte diaspora che sfugge alla censura in internet”. Attraverso Twitter, Facebook o ancora tramite You Tube, s’informano, con più o meno precisione, della situazione in differenti città del paese. Ciò che interessa è arrivare alla comunità internazionale e all’opinione occidentale. “Ma le informazioni non passano molto facilmente. Spesso bisogna pubblicare video dall’estero. Le chiusure del sistema obbligano l’esercito siriano libero a lavorare in modo frammentato”. La possibilità di essere localizzati è molto alta. La principale società di telecomunicazioni la SyriaTel, così come i fornitori di accessi ad internet, sono di proprietà di Rami AlMakhlouf, un cugino del presidente. Se un dissidente posta un video, c’è il 99% di possibilità che sia localizzato in un ora e che riceva una visita dalle milizie suppletive del regime.

Tuttavia, il controllo delle reti di comunicazione non significa che il regime le domini: fino a qualche settimana fa Damasco faceva fatica a far sentire la propria voce sulla scena internazionale. I messaggi erano veicolati soprattutto dalla tv di stato e dall’agenzia di stampa ufficiale Sana. Secondo Mathieu Guidère, la svolta c’è stata con l’elezione di Putin a marzo; da quel momento infatti il punto di vista di Damasco è stato trasmesso ampiamente.

Oggi questo aspetto del conflitto ha un’importanza cruciale, secondo François Huyghe, direttore di ricerca all’Istituto di relazioni internazionali e strategiche (IRIS); quando viene arrestato un dissidente, la prima cosa che gli viene domandata è il suo nome e la sua password nei social network. Chiaramente, aggiunge che questo tipo di guerra d’informazione da sola non può essere decisiva. Sul terreno le ripercussioni della cyber-opposizione sono pressoché nulle. Guidère conclude “ Bachar Al-Assad ha colmato tutte le lacune del suo cyber-sistema. Se dovesse vincere, sarebbe un regime più repressivo che mai”.