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Libia, si ripeterà lo scenario siriano?

Di Subhi Hadidi, al-Quds al-araby (21-12-2019) Traduzione e sintesi di Francesca Paolini

Gli accordi turco russi nel fascicolo siriano non hanno impedito a Vladimir Putin di garantire la stabilità del regime di Bashar al-Assad, così come non hanno impedito ad Erdogan di invadere i territori siriani. Per chi ricorda l’abbattimento del caccia russo Sukhoi 24 da parte di un aereo di guerra turco, il seguente peggioramento delle relazioni tra Ankara e Mosca e la riconciliazione che seguì la tensione, non sarà difficile immaginare una riproduzione dello stesso scenario nell’attuale fascicolo libico.

Ciò potrebbe accadere poiché Putin, non attraverso l’esercito ma tramite le unità mercenarie del Wagner Group – compagnia militare privata russa vicina all’amministrazione del Cremlino – ha trovato spazio, margine ed un numero di pedine necessarie per entrare nella complessa scacchiera libica. Questo ingresso complica la situazione non permettendo agli altri schemi internazionali e regionali di raggiungere la fase finale del gioco e la sua conclusione.

Erdogan invece, seguendo un approccio regionale, cerca di trasformare la Turchia in un giocatore determinato e a volte decisivo, per nulla secondario e marginale. Ha ampliato le sue zone d’influenza a nord della Siria e dell’Iraq attraverso l’incursione militare o attraverso piccole “guerre di pulizia” contro i curdi, ha poi sponsorizzato alcune organizzazioni jihadiste divenute una carta di negoziazione ed ha di recente fatto una mossa decisiva – mossa geopolitica per eccellenza – mediterranea in termini di azione ma di ambito atlantico, stipulando l’accordo strategico di sicurezza con il governo libico di Sarraj.

Vale la pena ricordare che Mosca ha preceduto Ankara nell’ingresso nella scacchiera libica, concludendo un accordo militare con il regime di Abd al-Fatah al-Sisi che permette agli aerei russi di utilizzare una base egiziana sul Mediterraneo posta a soli cinquanta miglia dallo spazio aereo libico. Considerando il sostegno a Khalifa Haftar e al cosiddetto esercito nazionale libico da parte di al-Sisi e da parte della Russia, interessata a proseguire la maratona di accordi petroliferi avvenuta nel 2008 con il regime di Mouammar Gheddafi, bisogna aspettarsi un aumento della penetrazione militare russa in Libia.

In scenari come questi e alla luce della quasi totale assenza della società internazionale negli esplosivi fascicoli libici, ci si aspetta che sia Haftar che Fayez Serraj, presidente del governo dell’accordo nazionale, si sottomettano alle volontà regionali e internazionali, ma con una differenza di tipo morale. Il primo, ex agente della CIA che è oggi rappresentante degli attori esterni e delle truppe dei mercenari provenienti da ogni parte, è anche un generale donchisciottesco che combatte i mulini a vento dallo sorso aprile e colleziona tra i suoi più grandi successi lo spargimento di sangue dei civili con droni e aerei di guerra non libici. Sarraj invece ha fatto una dichiarazione tragica, ma del tutto realistica: se chiedesse aiuto ai suoi cinque amici – Algeria, Turchia, Italia, Inghilterra e America – i loro interessi in Libia non si riconcilierebbero. Ha compreso perché alcuni di questi paesi esitano a stendere una mano amica, infatti le agende sono difficilmente bilaterali con Tripoli e non saranno attive sul campo a meno che non vengano affiancate da altri accordi bilaterali sullo modello dell’accordo tra Ankara e Mosca.

Se è corretta questa analogia tra Libia e Siria, non passerà molto tempo prima che vengano scoperti gli schemi sulla scacchiera che era e rimane macchiata con il sangue dei libici.

Subhi Hadidi è un critico letterario, commentatore politico e traduttore siriano. Collabora regolarmente con al-Quds al-Araby.

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