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Libia: nessuna soluzione militare

Libia bandiera

Di Hacen Ouali. El Watan (03/02/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Tutto bene tra Algeria e Italia, o almeno è questo che hanno voluto darci a intendere i ministri degli Esteri dei due paesi, Ramtane Lamamra e Paolo Gentiloni, con i colloqui di lunedì scorso ad Algeri. Particolare accento è stato dato alla condivisione di alcuni punti alcune posizioni chiave sulle questioni internazionali, in primo luogo quella libica. Entrambi infatti hanno dichiarato di condividere l’impegno per una soluzione politica, perché, ha spiegato Gentiloni, “non ci sono soluzioni militari possibili”. È necessario invece indurre al dialogo le parti in causa, ovvero i due parlamenti di Tripoli e Tobruk, i capi tribali e i comandanti delle varie milizie (le ultime due categorie sono spesso sovrapponibili). Stesso punto di vista anche sulla lotta al terrorismo, che tuttavia secondo Lamamra non può prescindere dall’intervento sul tessuto socio-culturale.

Corinthia Hotel, Tripoli
Corinthia Hotel, Tripoli

Un esempio di questo assunto è proprio la situazione della Libia, ora dominata dalle faide tra milizie, cui si aggiungono i cartelli del jihad che hanno rivendicato l’attentato del 27 gennaio al Corinthia Hotel di Tripoli. Un edificio di proprietà di una società maltese, presidiato costantemente da agenti e gendarmi pubblici e privati. Durante il regime di Muammar Gheddafi ospitava importanti incontri politici e culturali internazionali, mentre caduto il regime, è diventato teatro di colloqui diplomatici e conferenze stampa. Lì nell’ottobre 2013 l’allora primo ministro Ali Zeidan era stato rapito da gruppi armati.

L’ipotesi che l’obiettivo dell’attentato del 27 gennaio fosse il primo ministro del Governo di Salvezza Nazionale (GSN) Omar al-Hassi non è stata confermata. Sta di fatto che, dopo aver costretto all’esilio a Tobruk il parlamento eletto nel giugno 2014 (internazionalmente riconosciuto), il Congresso Nazionale Generale (CNG, non riconosciuto dalla comunità internazionale), cui fa riferimento il GSN, ha dato prova di non avere la situazione sotto controllo. Eletto a giugno 2012, è stato rimesso in piedi dal Partito della Giustizia e della Costruzione (PJC) a Tripoli, con l’appoggio della coalizione di milizie islamiche Fajr Libia (Alba della Libia). La stessa coalizione che nel 2013 ha fatto adottare una legge che esclude dalla politica chiunque abbia avuto una qualche carica durante il regime di Gheddafi. Vale la pena osservare che in questi giorni questa legge è stata sospesa dal parlamento di Tobruk, poiché ritenuta uno strumento legislativo nelle mani delle milizie islamiche.

Dopo l’attentato al Corinthia Hotel, il CNS ha negato il coinvolgimento della milizia islamica Ansar al-Sharia, tentando di metterla al riparo dall’Operazione Dignità lanciata dal generale Khalifa Haftar. Il CNS ha inoltre definito i cartelli del jihad di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) “una banda di giovani idealisti”, rassicurando Paesi vicini e potenze lontane sulla sua capacità di gestire le correnti islamiche radicali. Secondo il parlamento di Tripoli invece l’attentato è opera di gruppi di ex sostenitori di Gheddafi. Intanto sulla rete l’azione è stata rivendicata da gruppi che si definiscono affiliati di Daish, come rappresaglia per la morte di Abou Anas al-Libi, veterano di Al-Qaeda morto a gennaio di tumore prima che il suo processo per gli attentati di Nairobi e Dar es-Salam del 1998 fosse avviato a New York.

Strana sovrapposizione tra Al-Qaeda e Daish, riscontrata anche nelle azioni terroristiche del 7 gennaio a Parigi.

Hacen Ouali è un giornalista politico per il quotidiano algerino El Watan.

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