Iraq Zoom

Liberare l’Iraq senza perdere l’unità dello Stato

Di Mustafa al-Kadhimi. AlMonitor (04/05/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

L’Iraq si trova ad un bivio e le decisioni di oggi definiranno lo stato delle cose una volta che Daesh (ISIS) sarà cacciato dal Paese. In questo senso, tutto dipende dalla visione che la politica irachena ha del futuro: c’è un piano per la costruzione di uno stato unificato o si prevede la divisione e la dissoluzione dell’Iraq così come lo conosciamo?   

In entrambi i casi, ci sono delle opzioni da discutere. Se le élite stanno cercando di costruire un Iraq unificato, occorre ristabilire un senso di solidarietà nella lotta contro Daesh. Infatti, se le componenti sociali emergenti – come le unità di mobilitazione popolare, i peshmerga e i clan sunniti – combattessero una guerra unilaterale contro Daesh, ciò vorrebbe dire che hanno scelto di non restaurare l’unità del paese.   

Le due forze militari attualmente in grado di contrastare Daesh – le unità di mobilitazione popolare, prevalentemente sciite, e i peshmerga – sono incapaci di governare le aree sunnite per un periodo considerevole di tempo. Ciò è dovuto al fatto che, dopo la sconfitta di Daesh in un dato territorio, i combattenti torneranno a casa e chi ha liberato quell’area dovrà vivere in armonia con gli abitanti del posto, altrimenti emergeranno nuove violenze.   

Questa eventualità è molto chiara al Presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani, il quale più volte ha espresso la visione secondo cui i peshmerga non entreranno da soli a Mosul, piuttosto preferisce che questa impresa si compia addestrando truppe composte da abitanti di Mosul in campi all’interno del Kurdistan.

Questo punto di vista è degno di nota, in quanto evidenza una comprensione della natura del conflitto interno, regionale ed internazionale – una comprensione che deve essere presente anche quando a Baghdad le unità di mobilitazione popolare parlano del desiderio di liberare Anbar e Mosul prima che maturino le condizioni oggettive necessarie per assolvere a questo compito.

Condizioni oggettive sono la creazione di un delicato equilibrio tra la riabilitazione dell’esercito e le forze di sicurezza – in quanto rappresentanti della sovranità nazionale – e il supporto ricevuto dalle truppe volontarie, sia delle unità di mobilitazione popolare che dei clan sunniti. Ciò rientra nel contesto di una sorta di “Guardia Nazionale”, permettendo così di sfruttare le capacità di queste forze insieme a quelle dei peshmerga.

In questo senso, si può iniziare a parlare di solidarietà sociale e politica volta a liberare il territorio da Daesh, senza rinunciare all’Iraq come stato. 

La parola d’ordine nella guerra dell’Iraq contro Daesh è il “concetto di Stato”, che è esattamente il motivo per cui questa deve essere definita una guerra tra stato e non-stato, legge e anarchia, dittatura ed estremismo, così come per la democrazia, la giustizia sociale e i diritti umani.

Gli iracheni non possono salvare l’Iraq a meno che non sposino il concetto di state-building nello sforzo per liberare il paese da Daesh. Ogni linea di condotta che risulti fondamentalmente incompatibile col concetto di stato si trasformerà, almeno da un punto di vista internazionale, in una guerra settaria in cui una fazione prova a dominare sull’altra. Un esito del genere potrebbe potenzialmente portare alla disgregazione del paese, a prescindere da chi riesca ad assestare il colpo decisivo a Daesh. 

Altre caratteristiche possono essere aggiunte alla lista dei cambiamenti dell’era post Daesh, tra cui imparare dall’esperienza di altri paesi che hanno subito un conflitto interno e che hanno affrontato gruppi estremisti, sebbene Daesh rappresenti una minaccia senza precedenti. 

Questo ci spinge alla riconciliazione e al perdono e ci mette sulla giusta strada verso la tutela delle nostre comunità – dal punto di vista culturale, pedagogico, sociale ed economico – dai tentativi di distruggere il paese da parte di singoli gruppi che rivendicano interessi religiosi.   

Mustafa Al-Kadhimi è uno scrittore iracheno, specializzato nella difesa della democrazia e dei diritti umani.

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