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Libano: un presidente “fatto all’estero”

Libano
La politica interna libanese fortemente segnata dagli equilibri e dalle influenze regionali

Di Eyad Abu Shakra. Asharq al-Awsat (02/11/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

“Avremo un presidente made in Libano!”: con queste parole un politico libanese ha accolto l’elezione di Michel Aoun come nuovo capo di Stato libanese. Queste parole, però, sono fuorvianti. Il politico in questione deve rendersi cono che il Libano non è mai, nella sua storia, riuscito a eleggere un presidente senza un accordo straniero o come risultato di un equilibrio regionale o internazionale. Di fatto, se i libanesi avessero avuto modo di scegliere un presidente, non ci sarebbe stato nessuno vuoto presidenziale, nessun Accordo di Doha, nessun Accordo di Taif, e così via.

Quindi, chi osanna il consenso su un “presidente made in Libano” ignora volutamente alcuni fatti importanti e sgradevoli, come chi ha detto che “qualsiasi presidente è meglio del vuoto” negli ultimi due anni e mezzo. In realtà, non c’è stato nessun “vuoto”: parlarne, o usarlo come scusa, è servito a mascherare alcune verità.

La prima è che il Libano è dominato da Hezbollah, il quale gode di una posizione e di capacità che vanno al di là di quelle sello Stato libanese, all’interno del quale il partito sciita riesce a sistemare diversi posti a livello politico, militare ed economico. Tra l’altro, Hezbollah è il principale responsabile della mancata elezione di un presidente degli ultimi due ani e mezzo.

La seconda è che il Libano, è stata sempre soggetto alla competizione regionale e in cerca di una sua influenza manovrando le relazioni con la Siria, la Palestina e persino l’Egitto. Dopo la creazione di Israele nel 1948, il Libano è diventato arena del conflitto arabo-israeliano e delle sue ripercussioni, rendendolo ancora più debole. Oggi, mentre la cartina mediorientale viene ridisegnata, Israele non sembra infastidito dall’occupazione de facto di Hezbollah in Libano o preoccupato dal “vuoto presidenziale”, né tantomeno sembra a disagio dalla forte presenza iraniana in Siria attraverso le milizie sciite.

Terzo, non è un caso che il “vuoto presidenziale” finisca in contemporanea con la battaglia per la liberazione di Mosul, che secondo le stime ONU genererà più di un milione di sfollati, per lo più arabi sunniti.

In generale, oggi ci troviamo in una “situazione regionale” esacerbata da una visione americana che ha avuto impatto in Medio Oriente, Nord Africa ed Europa: l’Iraq è diviso, la Siria è in rovina, la Turchia e gli Stati del Golfo sono a rischio, la Palestina continua ad essere occupata, la tensione sunnito-sciita sta diventando una guerra settaria, per non parlare delle tensioni tra arabi e iraniani e tra turchi e curdi, che minacciano l’intera regione.

Con un simile retroscena, come avrebbero potuto i libanesi, che non sono riusciti a costruire uno Stato, credere di poter avere un “presidente made in Libano”?

Eyad Abu Shakra è caporedattore del giornale panarabo Asharq al-Awsat.

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