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Libano: le dimissioni di Hariri annunciano una nuova guerra?

Saad Hariri
Dopo le dimissioni del premier libanese, Saad Hariri, si teme che il Libano possa ripresentarsi come l’arena del conflitto nella regione. E non mancano i presupposti di una nuova guerra.

Di Ghazi Dahman. Al-Araby al-Jadeed (06/11/2017). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Da una lettura dei movimenti del corpo del consigliere del leader iraniano, Ali Akbar Velayati, in occasione del suo incontro con l’ormai ex premier libanese, Saad Hariri, si evince quanto il primo sia stato arrogante e crudele. Velayati, infatti, annuncia le dimissioni del giovane politico affermando la vittoria dell’Alleanza guidata dal suo Paese nel controllo della regione e nel successo dell’impresa in attesa di una reazione sul volto di Hariri.

Ali Akbar Velayati è consapevole che tanto Hariri quanto i sunniti libanesi, e con questi “le Forze del 14 maggio”, siano delle potenze deboli e incapaci di influenzare il destino degli sviluppi nella regione. Da parte sua, Hariri deve aver capito l’errore commesso quando ha dato la possibilità all’inviato iraniano di sfruttare la piattafforma del premier libanese per annunciare la vittoria dell’Alleanza dell’Iran e affermare Bashar Al-Assad al potere con la ripresa della città di Raqqa, divenuta simbolo dell’influenza iraniana.

I motori delle dimissioni di Hariri e le sue implicazioni politiche rivelano che gli sviluppi regionali stanno accadendo molto rapidamente, nell’interesse dell’alleanza russo-iraniana che preme ad affermare questi eventi e renderli definitivi. Tutto ciò a svantaggio delle forze regionali e internazionali che negano di riconoscere la realtà dei fatti, consapevoli che per cambiare questi eventi occorre un’operazione militare dello stesso calibro. Ne deriva che la scelta del tempo e dello spazio per regolare tali condizioni diventa un’operazione importante in questa fase. Ecco che il Libano si presenta come l’arena ideale per sprigionare la scintilla del nuovo conflitto nella regione, non perché sede originaria di Hezbollah, ma perché vi sono tutti i presupposti perché questo avvenga. In Siria Hezbollah è favorita dalla protezione russa, che difende la presenza del partito nel Paese perché legittimata dal governo e quindi la caccia al partito libanese diventa più semplice in Libano e non nei deserti iracheni o nella valle siriana dove Hezbollah è la più grande leva della macchina iraniana nella regione. Inoltre le stesse dimissioni sembrano muovere verso la guerra perché dimostrano che l’influenza iraniana è la causa dell’instabilità in Libano e nella regione.

Quel che ne deriva da queste e altre considerazioni è che si tratta di un conflitto di grandi organizzazioni dove tutti ne sono coinvolti su diversi livelli. Hezbollah, Saad Hariri insieme alla maggior parte delle potenze locali in Libano, Siria e Iraq, sono fazioni incapaci di decidere la guerra e la pace; essi sono solo delle pedine sulla scacchiera regionale i cui movimenti avranno conseguenze sulla scena di un conflitto più ampio dove i grandi giocatori decideranno l’ora e il luogo dello scontro definitivo. Questo farebbe del Libano il punto “caldo” del conflitto.

La verità è che quel che c’è stato prima di Hariri non sarà lo stesso dopo le sue dimissioni e potremmo dire che le cose sono maturate a tal punto da raggiungere dei cambiamenti nella regione. Ma l’Iran e la Russia sono consapevoli dei rischi di questi sviluppi e di come mitigarli? La palla è nel campo della pragmaticità di Teheran e Mosca e sotto il loro esame.

*Ghazi Dahman è nato a Deraa (Siria). Ha scritto per diverse testate arabe e pubblicato diversi studi sulla rivista degli affari arabi.

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