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L’Europa e la Primavera Araba: cinque anni dopo

Di Hossam Shaker. Middle East Eye (28/12/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Il 17 dicembre 2010, l’immolazione del giovane Mohamed Bouazizi in Tunisia portò la popolazione a ribellarsi e a rovesciare, in meno di un mese, la tirannia del presidente Zine El Abidine Ben Ali, rimasto al potere per 23 anni con l’aiuto di una forza di polizia estremamente brutale.

Tuttavia, nel corso della sua presidenza, Ben Ali ha anche goduto degli elogi dell’Europa e di una buona reputazione nei media, essendo molto abile a usare l’inganno nelle relazioni pubbliche, cosa che agli occhi degli europei lo faceva apparire come un amico fidato, senza prestare attenzione a quella che era la volontà del suo popolo.

Nonostante l’abbondare di report che parlavano di oppressione, di tortura, di mancata libertà d’espressione durante l’era Ben Ali, la sua immagine è rimasta grosso modo incontaminata nei media europei, mentre veniva accolto con calore nelle diverse capitali del Vecchio Continente. L’audace indagine sul suo conto circolata negli ultimi anni della sua presidenza non è riuscita a rompere l’incanto della sua immagine di presidente ideale per il mondo arabo.

Persino quando il popolo tunisino era in rivolta contro il suo regime tirannico, per settimane i politici e i giornalisti in Europa hanno continuato a trovare difficile criticare in modo palese il dispotico presidente così tanto elogiato. I titoli europei non hanno etichettato Ben Ali come “dittatore” se non nelle ultime ore del suo potere, quando ormai era sicuro che il suo regno fosse terminato.

Il 14 gennaio 2011, i tunisini hanno celebrato il loro sconvolgente successo. All’improvviso, il mondo ha acclamato la Tunisia e le foto della sua vittoria hanno tappezzato i giornali europei per settimane. Politici e commentatori in Europa hanno finalmente iniziato a parlare della brutalità della tirannia. È stato solo allora che i funzionari europei hanno ammesso apertamente che le loro politiche estere sbagliavano a favorire il regime, col fine di proteggere gli interessi occidentali nel mondo arabo, invece di onorare la democrazia, i diritti umani e la volontà del popolo.

Ma cos’è successo dopo? L’applauso europeo per la Primavera Araba e per il suo spirito pro-democratico è durato circa due anni, dopo di che la narrativa di collusione con i tiranni della regione si è di nuovo fatta sentire a gran voce – soprattutto in Egitto. Oggi, è chiaro che tutti i rapporti sui diritti umani e le indagini indipendenti sulle violazioni commesse dai regimi non hanno alcun valore pratico. Nonostante le ambasciate europee abbiano vissuto le nuove atrocità e abbiano visto da vicino come le persone venivano massacrate nelle piazze, il vecchio hobby di accogliere i tiranni con il tappeto rosso è stato ripristinato.

Oggi, bisogna dimenticare gli slogan,le iniziate, le strategie proposte dai politici europei durante la Primavera Araba. Chi è che ricorda le nuove politiche di vicinato introdotte tra il marzo e il maggio 2011? O il sostegno alle iniziative delle democrazie emergenti nel mondo arabo? O ancora la nuova versione del Partenariato Euro-mediterraneo?

La verità è che la democrazia è stata calpestata e schiacciata, un processo che non avrebbe avuto luogo se non fosse stata garantita l’immunità europea dalla critica e dal castigo. Non c’è alcun dubbio che la maggior parte dei politici e dei media europei abbiano evitato di condannare quanto accaduto dopo il colpo di Stato militare in Egitto nel luglio 2013. La tirannia e l’oppressione si sono ripresentate in maniera brutale, al punto da arrivare a massacri di massa. La nuova tirannia ha usato le relazioni pubbliche per fuorviare l’Europa e il mondo.

Le potenze europee non possono negare la loro responsabilità nell’influenzare alcuni degli sviluppi nel loro vicinato meridionale. L’Europa ha i suoi obblighi e non c’è spazio per la confusione quando si tratta di scegliere tra la democrazie e la tirannia militare, tra la libertà e l’oppressione, tra la dignità umana e la tortura.

Alcuni sostengono che le politiche estere europee di fatto mirano alla diffusione della democrazia, ma che funzionano secondo la logica degli interessi e della sicurezza nazionali – come se l’impegno europeo nel sostenere la libertà e i diritti umani non abbia valore in circostanze di avversità. Beh, c’è da ricordare che i regimi tirannici e corrotti hanno distrutto le speranze dei loro popoli e hanno creato un’atmosfera dove prosperano violenza ed estremismo, spingendo generazioni di arabi a prendere decisioni alla cieca, come morire nel Mediterraneo o cadere preda della propaganda di Daesh (ISIS).

Hossam Shaker è un giornalista specializzato in immigrazione in Europa.

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