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L’escalation del divino nella cultura

salafiti

Di Fuad Khalil. As-Safīr (5/11/2015). Traduzione di Carlotta Castoldi.

I salafiti jihadisti, e in particolare i membri di Daesh (ISIS), ritengono che l’Islam definisca l’identità dell’individuo e della collettività e riconducono l’arretratezza musulmana alla distanza dalla religione originaria, aspirando quindi ad una riforma basata sul ritorno agli insegnamenti salafiti. Il mondo islamico costituisce un’unica comunità, legata dalla fede comune, nonostante sia sparpagliata in paesi e nazioni differenti e malgrado la molteplicità delle autorità politiche che la governano.

Su questa base l’umanità viene divisa in due: la comunità della fede e la comunità della miscredenza, dove per fede si intende la morale specifica islamica e per miscredenza una qualsiasi morale altra. Pertanto la definizione di comunità come gruppo di esseri umani che condividono sentimenti nazionali non rende affatto il concetto islamico di Umma, intesa piuttosto come gruppo unito da un’unica credenza ed un’unica morale, al di là delle differenze nazionali: la Umma islamica si estende infatti oltre i limiti e i confini naturali e non include coloro che, seppur uniti dalla nazionalità e dai confini geografici, non lo sono però anche nella fede.

L’Islam salafita rifiuta il nazionalismo come fede cieca, ma tenta di utilizzarlo politicamente con l’intento di intensificare il sentimento religioso. Però i sentimenti nazionalisti mal si conciliano con quelli religiosi e l’idea di nazione è spesso diventata un ostacolo per l’unità musulmana: le stesse potenze coloniali l’hanno utilizzata per frammentare la comunità islamica che con la sua coesione minacciava i loro interessi politici ed economici. È in questa luce che la fedeltà al nazionalismo arabo entra in contrasto con la fedeltà all’Islam.

All’origine di questa ideologia si nasconde la riduzione della storia e della cultura arabo-musulmana a mera religione. La visione comune musulmana ritiene che l’Islam abbia estirpato ciò che c’era prima del suo avvento, condannando la storia precedente all’oblio. Ma ha poi pagato lo scotto di questa sua azione in termini culturali poiché la semplificazione manichea, Umma della fede e Umma della miscredenza, porta in modo consapevole ad una escalation del divino nella cultura. Questa escalation si esprime limitando le dinamiche culturali all’ambito delle disposizioni religiose e imprigiona le sue peculiarità storiche nella struttura di tali disposizioni, spogliandole della loro natura.

Certo l’Islam, come qualsiasi religione, non riesce a rendere le molte sfaccettature della realtà storica, poiché qualsiasi sua parola risulta esterna al sistema di cultura prevalente al momento. Anche se, inizialmente, l’universo di discorso introdotto dall’Islam si presentava come una forza creatrice, innovativa e ricca, per la conoscenza e la cultura, poiché nella profondità delle sue rappresentazioni cognitive invitava l’uomo ad identificare l’assoluto. Tuttavia dall’altro lato, l’unità della società che vigeva al tempo della profezia e della rivelazione si andò disgregando. L’Islam si settarizzò, confermando come fosse la società a spiegare la genesi e l’evoluzione della religione e non viceversa.

Quando la religione si fonda sul settarismo diventa terreno fertile per la strumentalizzazione politica e smette di essere un fattore unificante per la società umana cosicché l’identità collettiva non si può più definire sulla base di essa. L’Islam, nel corso dei secoli, ha riunito la comunità con il metodo della sottomissione e dell’affiliazione forzata, non fornendo un modello saldo per l’unificazione volontaria e libera. L’impegno con la spada e il trasferimento del potere su una linea ereditaria regale erano l’imperativo. Ma se tale imperativo nella storia dell’Islam delle origini trovava una sua ragion d’essere, certo gli attuali inviti salafiti al jihad e ad una fondazione politica dell’Islam, in un tempo in cui prevalgono essenzialmente i valori dell’individuo, della cittadinanza e della democrazia sembrano inviti anacronistici al reinserimento in un passato che non tornerà, poiché non ci sarà nuovamente un profeta o un califfo ben guidato nella storia. Questa chiamata religiosa prende vita dalla volontà di prevalere sull’altro, di emarginarlo e dall’intenzione di sottoporlo alla volontà della Umma.

Il susseguirsi di guerre civili in molte regioni arabe rappresenta una testimonianza della profondità della crisi, che impoverisce l’immagine dell’Islam e conferma che le varie identità regionali non sono integrate in un’unica fede, costituendo quindi un potente strumento di discriminazione.

Fuad Khalil è un giornalista libanese.

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