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L’Egitto e la “maledizione di Novembre”

egitto immagineDi Elias Harfoush. Al-Hayat (29/11/2013).

Traduzione e sintesi di Lia Brigida Marra.

In questi giorni l’Egitto è dominato da un clima nuovo che, memore degli slogan della rivoluzione del 25 gennaio, trasuda timore delle autorità e risentimento per le misure da queste ultime adottate contro oppositori e dissidenti. Circolano inoltre numerosi interrogativi sulla fase di transizione e sulla capacità dell’attuale apparato governativo, una coalizione tra civili e vertici militari, di scortare l’Egitto fuori dalla crisi economica e dal regnante stallo politico.

Mi sono ricordato per caso che siamo a Novembre parlando con un mio amico egiziano della “maledizione di Novembre” che sembra incombere, negli ultimi tre anni, sui governanti egiziani. Novembre 2010: i brogli elettorali accendono violente proteste contro il regime di Mubarak provocandone, tre mesi dopo, la deposizione. Novembre 2011: gli incidenti di via Mohammed Mahmoud e la violenza che polizia e Forze Centrali di Sicurezza usano contro i manifestanti innescano una vasta campagna popolare contro la giunta militare al potere sotto la guida del mushir Hussein Tantawi. Novembre 2012: la dichiarazione costituzionale, con cui Mohamed Morsi si attribuisce ampi poteri presidenziali, e i provvedimenti adottati dal governo dei Fratelli per dominare in via esclusiva gli apparati statali conducono rapidamente alla vasta rivoluzione popolare del 30 giugno culminata con l’intervento dell’esercito.

E ora novembre 2013! Per la prima volta dalla deposizione di Morsi cominciano a emergere dissensi tra le fila degli alleati di ieri, civili e militari, che avevano fatto fronte comune contro il predominio dei Fratelli. Le critiche oggi sono mosse alle recenti misure di sicurezza adottate dal governo di Hazem El Beblawi per perseguire chi protesta contro la legge sulle manifestazioni, nonché ai tentativi di disegnare uno status speciale per l’esercito nella nuova Costituzione.

Cosa cela Novembre 2013? L’Egitto ha bisogno ora più che mai di stabilità, di ampliare la rete delle proprie relazioni regionali e internazionali, nonché di limitare le voci di protesta e di critica che si levano contro la condotta del proprio governo e dei propri leader. Il timore è che la campagna mediatica, politica e di sicurezza intrapresa contro i Fratelli Musulmani non sia sufficiente da sola a conquistare i cuori, le menti e il sostegno degli egiziani: occorrerà cercare altre strade per rilanciare la popolarità del capo.

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