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“Leggere Shakespeare a Kabul” di Qais Akbar Omar e Stephen Landrigan

shakespeare
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shakespeare a KabulIl libro che vi propongo oggi nel blog “Con altre parole” è il racconto di una storia vera, una esperienza realmente vissuta dai protagonisti che ce la narrano in tutte le sue fasi.

“Leggere Shakespeare a Kabul” è infatti la cronaca della messa in scena di una commedia del grande poeta inglese in terra afghana negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime talebano, grazie all’idea e alla tenacia realizzatrice di un’attrice francese, Corinne Jaber che, dopo un lungo viaggio in Afghanistan, decide di portare in quella terra martoriata dalla guerra una luce di speranza attraverso uno spettacolo teatrale da far realizzare da attori autoctoni.

Fin dalle prime fasi il progetto si rivela arduo da realizzare, in primo luogo per la difficoltà di reperire traduzioni delle opere di Shakespeare in lingua dari o farsi.

Uno dei passaggi più difficili, dopo aver individuato l’opera da mettere in scena – “Pene d’amor perdute” – è l’ingaggio degli attori e soprattutto delle attrici. In Afghanistan mai era stato rappresentato uno spettacolo teatrale nel quale figurassero contemporaneamente maschi e femmine sullo stesso palcoscenico.

La sfida si fa sempre più avvincente per Corinne che profonde tutte le sue energie nel tentativo di reclutare i migliori attori del paese. Seppur faticosamente riesce a mettere insieme una vera compagnia di attori, ma con ancora maggior fatica il gruppo si avvia verso lo studio del copione e la messa in scena dello spettacolo: le difficoltà si ravvisano anche semplicemente nel far comprendere agli attori il significato dei versi che recitano, su cosa sia l’amore e perché viene cantato con quei versi. Le differenze culturali fra un Occidente del 1500 e un Afghanistan degli anni 2000 appaiono evidenti e difficili da superare.

Ma la tenacia degli attori, unita alla caparbietà della ideatrice del progetto, fanno si che pian piano la commedia prenda corpo e giorno dopo giorno le prove restituiscono una rappresentazione sempre migliore.

Il successo di pubblico è enorme; gli afghani, dapprima sconcertati dal vedere sullo stesso palco uomini e donne, si entusiasmano al punto da far moltiplicare le repliche e da portare lo spettacolo in tournée in giro per il paese. E tutto questo nonostante lo scetticismo di cui a volte gli stessi attori rimangono vittime. “Non credo che la nostra gente capirà Shakespeare”, dice uno dei protagonisti. “Shakespeare gioca con le parole mentre il nostro popolo ha giocato con i fucili negli ultimi trent’anni”.

Ma le acclamazioni di pubblico e l’enorme risonanza data alla tournée dai media di mezzo mondo, hanno al fine decretato un successo senza precedenti all’esperimento realizzato da questi uomini e da queste donne, con coraggio e abnegazione tali che in un caso hanno portato addirittura a conseguenze nefaste, come per il marito di una delle attrici che è stato assassinato per aver permesso a sua moglie di calcare le scene. 

Un libro che ci permette di cogliere sia le difficoltà di realizzare un simile progetto in un paese nel quale decenni ininterrotti di guerre hanno soffocato ogni anelito di elevazione spirituale, sia, di contro, la possibilità che proprio le arti possano restituire ad un popolo afflitto quella speranza nel futuro che altrimenti sembrerebbe definitivamente perduta.