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Le proteste arabe superano la soglia della paura

Zoom 28 feb Proteste

di Rami G. Khouri. The Daily Star (27/02/2013). Traduzione e di Roberta Papaleo. Mentre si fanno testimoni della storia ogni giorno, come nel caso di molti Paesi arabi negli ultimi due anni, di tanto in tanto è importante fare un passo indietro e cercare di capire meglio le motivazioni che spingono la gente normale ad azioni straordinarie. Nel corso della scorsa settimana, due fenomeni sono rientrati in questa categoria, fornendoci una visione migliore sul perché le continue agitazioni dei cittadini per i diritti umani e per un ordine politico legittimo in tutto il mondo arabo potrebbero durare ancora un po’ di tempo. Mi riferisco alle manifestazioni dei palestinesi contro il maltrattamento dei prigionieri nelle carceri israeliane e ad alle ennesime proteste in diverse città egiziane contro il governo del presidente Morsi. In entrambe i casi, migliaia di cittadini ordinari sono scesi in strada per sfidare le politiche del governo e per chiederne il cambiamento. L’elemento significativo non è che la gente esca a protestare rischiando di venire arrestata, ferita o uccisa, dato che lo fanno da anni. La cosa importante è che molti, uomini e donne, che hanno preso parte a queste manifestazioni non sono attivisti politici ed hanno anche iniziato ad adottare una disobbedienza civica non-violenta come tattica principale.

Negli ultimi giorni, migliaia di palestinesi si sono scontrati con le truppe di occupazione israeliane in diverse zone della Cisgiordania. In alcuni casi, il motivo era sostenere i prigionieri palestinesi in sciopero della fame, come Samer Issawi e altri tre, che non mangiano da agosto e che sono in precarie condizioni di salute. Recentemente, centinaia di palestinesi nelle prigioni israeliane hanno fatto lo sciopero della fame per protestare del loro maltrattamento per mano degli israeliani. A volte scioperano simbolicamente per pochi giorni; in alcuni casi, rifiutano il cibo solido per diversi mesi. Un giovane palestinese, Arafat Jaradat, è morto in prigione dopo una settimana di detenzione: i risultati dell’autopsia hanno indicato alla sua famiglia ed alle autorità palestinesi che la sua morte è stata causata dalle torture da parte degli israeliani.

Anche nelle città egiziane, come Port Said, migliaia di cittadini sono scesi in strada per sfidare il governo Morsi in merito a una serie di problematiche, compresa l’uccisione di oltre 40 residenti locali dello scorso mese. Alcuni impiegati statali e del settore privato si sono uniti agli scioperi, facendo chiudere uffici e servizi del governo. Ad Alessandria e Isamiliya, dei cittadini hanno protestato per solidarietà.

Questi due sviluppi non sono isolati. In Iraq, in particolare a Ramadi, Fallujah, ma anche Baghdad e Mosul, nello scorso mese si sono regolarmente svolte simili proteste di massa, per lo più sunniti ostili contro il governo del primo ministro al-Maliki. Anche qui, la richiesta principale è che il governo ponga fine alla sua politica di detenzione di centinaia di cittadini con accuse inconsistenti o per il sospetto di aver promosso delle politiche pro-sciite.

In molte zone della Siria, coloro che hanno combattuto il loro regime due anni fa stanno iniziando ad organizzare un sistema alternativo di consegna ai cittadini in posti in cui il governo del presidente Assad non opera più. Negli ultimi due anni, in Bahrein hanno avuto luogo proteste e scontri simili con le truppe del governo e nei mesi passati ci sono state proteste frequenti contro l’incarcerazione da parte del governo degli attivisti politici (per lo più sciiti) in Arabia Saudita, specialmente nella provincia orientale.

In Kuwait, Oman e negli Emirati Arabi sono stati imprigionate dozzine di cittadini con l’accusa di coinvolgimento in attività dannose per la sicurezza del Paese (per la maggior parte dichiarazioni attraverso i social network). Di fatto, lo scorso anno in Oman sono stati processati 35 attivisti e condannati a reclusione dai 6 ai 18 mesi; la scorsa settimana, 17 di loro hanno iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la loro condizione. Altri prigionieri si sono uniti a loro per solidarietà.

Accade qualcosa di importante nel momento in cui normali uomini e donne rischiano la loro vita per fronteggiare governi forti come in Egitto, Palestina e Israele, Siria, Arabia Saudita ed Iraq. Il filo conduttore di questi ed altri casi in tutto il mondo arabo non è solo il mero spettacolo di molti cittadini che non hanno più paura di rischiare la loro vita per esprimere le loro lamentele e chiedere dei cambiamenti nelle politiche e nelle pratiche del governo. Negli ultimi due anni, è diventato chiaro che milioni di persone normali hanno superato la soglia della paura che i governi dei Paesi arabi hanno usato per anni per tenere a bada la popolazione in Stati corrotti, mal gestiti e improduttivi.

In modo ancora più significativo, a quanto sembra, sempre più cittadini arabi stanno sfidando la vera legittimità delle autorità autocratiche al potere e stanno, di fatto, facendo un passo avanti dichiarando che la versa sovranità giace nelle mani dei cittadini.

 

http://www.dailystar.com.lb/Opinion/Columnist/2013/Feb-27/208046-arabs-cross-the-threshold-of-fear.ashx#ixzz2MBB91E1M