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Le piogge della storia

pioggia della storiaDi Ghassan Charbel. Al-Hayat (10/06/13). Traduzione di Alessandra Cimarosti.

La storia ci sta attaccando. È uscita dalla sua tomba e ha liberato i suoi guerrieri. I guerrieri stanno attaccando le città e occupando le montagne. Ci sono lunghi fiumi di lance, asce, coltelli ed odio. La nostra storia è un mostro violento che non siamo riusciti a leggere per bene, per assicurarci che sia morto. Non siamo riusciti ad imparare da esso al fine di assumerne il controllo. E abbiamo vissuto l’illusione di essere sfuggiti dalla nostra storia, mentre questa continua ad annidarsi nelle nostre teste e nei nostri cuori.

Le nostre nazioni non sono altro che cavalli delle tenebre. Eccoci, nudi di fronte alle grida vendicative che vengono dalle grotte. Queste non sono nazioni;  sono delle trappole per i miserabili. Sono delle tombe affamate che divorano prima i padri, poi i figli.

Rimaniamo nudi. Queste non sono nazioni. Sono tende inconsistenti decorate di bugie. Questi sono castelli finti in attesa della loro fine. Le nostre sono istituzioni decadenti in tempi di pace e di guerra. Istituzioni che non hanno il potere di convincere la gente, riunirla, impedire loro di fare male o guidarli verso ciò che è giusto. Queste sono mere sette e gruppi uniti sotto falsi slogan. Questo è un governo solo per una parte del popolo e una parte di terra. L’esercito è simile  a questo governo il cui compito principale è la caccia agli altri per annientarli.

La storia fluisce sottoforma di fiumi di sangue e fango. Non abbiamo ombrelli e muri per ripararci. Abbiamo mentito per troppo tempo alla nostra gente e agli altri. Abbiamo mentito quando abbiamo parlato dello stato delle istituzioni, dello stato di diritto, della giustizia del sistema giudiziario, della legittimità dei voti, del rispetto dei desideri degli elettori e della dignità dei cittadini. Abbiamo mentito quando abbiamo fatto allusione al rispetto dei confini internazionali, ai trattati, alle relazioni di buon vicinato, alle norme internazionali, alle risoluzioni ONU e alle singhiozzanti storie della Lega Araba.

Le nostre nazioni precedenti si sono trasformate in eserciti arrabbiati, milizie agitate, governi disturbati, parlamenti fallimentari e bilanci rubati. Stiamo celebrando mappe tagliuzzate, confini decaduti e coesistenza abortita. Stiamo consegnando i nostri figli a scavezzacolli.

E rimaniamo nudi. Dove sono i nostri valori di convivenza pacifica e tolleranza? Dove è il dibattito sulla diversità, sull’accettazione dell’altro e sul rispetto del suo diritto di essere diverso? Dove sono le università e i loro laureati? Dove sono gli scrittori ed i poeti? Dove sono le voci che hanno pavimentato la strada dei grandi sogni?

Un tempo avevamo paura che la regione esplodesse sotto il carico dell’ingiustizia, della povertà e dell’emarginazione; ma alla fine è esplosa sotto il peso dei programmi che non riescono più a sopportare la pressione. Ciò che è interessante è che gli omicidi si limitano alla parte araba della regione. Questo è l’inizio del fuoco. Noi siamo all’inizio della sedizione.

Cosa rimarrà in Siria se questo massacro dovesse continuare? Chi pagherà il prezzo dell’imminente debolezza? Cosa rimarrà in Libano se Hezbollah dovesse continuare con le sue avventure sanguinose sul territorio siriano? L’Iraq sarebbe precipitato nell’abisso se gli iracheni sunniti avessero goduto di una naturale presenza nelle istituzioni e Massoud Barazani fosse vissuto a Baghdad?

Si paga sempre il prezzo degli accordi, dei consensi e dei compromessi. Preferiamo correre il rischio, giocare d’azzardo e scivolare verso l’abisso. La storia ci attacca e ci riporta nelle sue grotte.

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