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Le donne infiammano le rivoluzioni e le fanno rinascere dalle ceneri

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La partecipazione femminile alle proteste è il fulcro delle battaglie politiche nelle società arabe

Di Lubni al-Harbawi, Al-Arab.co.uk (13/04/2019). Traduzione e sintesi di Alessandro Tonni

I regimi vanno e vengono nei vari paesi arabi e gli uomini conservano il loro monopolio sulle leve decisionali . Gli effetti a cui ha portato questo trovano riscontro nella composizione dei governi che si sono susseguiti ed in quella dei parlamenti eletti. Ma il risvolto più sorprendente per chi segue lo scenario evolutivo della “primavera araba” è la partecipazione femminile alla sollecitazione di questi processi di cambiamento. Anche se le società arabe pongono la donna in una posizione marginale rispetto all’uomo, le donne non hanno mai fatto mancare la loro presenza alle proteste nel corso delle epoche. Una ragazza sudanese di nome Alaa Salah è diventata un’icona con le sue foto che hanno fatto il giro della rete, dopo aver guidato le urla di protesta durante le dimostrazioni esplose a Khartoum. Ha dato così prova che le donne hanno posto le basi della mobilitazione contro il governo di Omar al-Bashir.

Il 9 aprile 1938 la Tunisia ha assistito a contestazioni popolari che chiedevano delle riforme politiche, e le donne per la prima volta sono scese in protesta.

Nel 1923 in Egitto l’attivista Huda Sha’rawi si tolse pubblicamente il velo in un appello rivolto all’emancipazione della donna e alla sua istruzione nella società egiziana. Oltre a questo, divenne famosa come attivista nazionalista contro l’occupazione inglese.

In Libia, anche se la rivoluzione si è trasformata in una guerra civile le donne libiche hanno preso parte alla rivoluzione sin dall’inizio, nonostante la natura conservatrice della società, ed è stato questo che ha attirato l’attenzione degli osservatori.

In Yemen, le donne hanno dato fuoco alle loro vesti in protesta, ed in tal modo hanno così innescato la rivoluzione yemenita. Dal momento che parecchie donne erano attivamente impegnate nei teatri delle contestazioni, coloro che appoggiavano il sistema avevano sostenuto la tesi infondata che la donna attivista trascurava i suoi doveri come madre o come figlia.

In Egitto, quando l’esercito impose i test sulla verginità condotti da medici maschi sulle donne che erano scese in protesta l’intento era quello di intimidirle e di screditarle, per poi ammantare di legalità maltrattamenti pervasivi della loro sfera intima. Dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak la donna egiziana ha sofferto l’emarginazione dalla sfera politica.

In Tunisia, dopo la vittoria alle prime elezioni a seguito della rivoluzione, il partito islamista en-Nahda tentò di aggirare il Codice di Statuto personale tunisino che conferiva alla donna una certa uguaglianza con l’uomo, ma senza presentare alcun provvedimento che le accordasse una parità completa.

In Libia, le donne non occupano che una soltanto delle oltre quaranta posizioni chiave nel Consiglio nazionale di transizione.

L’Iraq, sottoposto alla sovranità di fazioni militari, ha assistito a gravi involuzioni non solo nell’ambito della posizione della donna ma a tutti i livelli.

Ad oggi, a dispetto dei numerosi cambiamenti avvenuti nel mondo arabo, si continua a considerare la donna come una creatura priva di capacità giuridica o un essere emotivo ed irrazionale e perciò inadatto a disporre liberamente di se stesso al di fuori della tutela del maschio.

Lubni al-Harbawi è una giornalista tunisina, scrive articoli per la testata Al-Arab.co.uk.

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