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La Turchia preferisce Hamas al Coronavirus

di Huda Al-Husseini, Asharq AlAwsat, (09/04/2020). Traduzione di Maddalena Goi

Sembra che nessuno sia responsabile del coronavirus, tutti i paesi stanno cercando di attuare una politica che freni la sua diffusione, facendo credere all’opinione pubblica che le cose siano sotto controllo. Probabilmente, l’entità del danno non potrà essere chiara fino a quando il virus non sarà eliminato del tutto. Solo allora il mondo potrà valutare gli effetti di quella che sembra essere una crisi spaventosa e devastante. Nonostante i tentativi della maggior parte degli Stati di nascondere le reali dimensioni del fenomeno, è diventato ormai chiaro a tutti che si tratta di una situazione difficile.

Ad esempio, in Iran, nonostante le dichiarazioni ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), alcuni rapporti indicano che il paese ha il maggior numero di casi al mondo, con oltre 10 mila morti. Ed è possibile anche per un paese come la Turchia che è il centro del traffico aereo e navale intercontinentale con una popolazione di oltre 83 milioni di persone. Secondo rapporti ufficiali, di dubbia attendibilità, la Turchia è apparentemente riuscita a prevenire la diffusione del virus per un lungo periodo, nonostante confini con Europa, Asia e Medio Oriente e i suoi principali aeroporti abbiano continuato a operare. Il primo caso di infezione è stato comunicato il 9 marzo, circa un mese dopo la sua effettiva segnalazione nei paesi vicini. Si è poi scoperto che il numero di contagi annunciati in Turchia era troppo basso e sospetto per un paese che rappresenta il più grande hub del traffico aereo al mondo. Questo è probabilmente il risultato di un controllo circoscritto e intenzionale autorizzato dal Ministero della Salute turco.

La politica delle autorità mira a dare l’impressione che gli affari proseguano come al solito, al fine di evitare il collasso dell’industria turistica del paese. La Turchia, infatti, è considerata una delle 10 migliori destinazioni turistiche al mondo e i proventi da questo settore sono una fonte primaria di valuta estera. Fino a poco tempo fa la Turchia era anche uno degli ultimi bastioni dell’industria automobilistica. Le case automobilistiche tra cui Toyota, Renault e Ford hanno continuato la loro produzione nel paese che, nonostante lo considerassero un paese europeo, lo ritenevano essere ben lontano dall’epidemia. Tuttavia, queste aziende, hanno recentemente annunciato che chiuderanno le fabbriche nelle prossime settimane. L’iniziale indifferenza delle autorità ha presto lasciato il posto alla paura per gli effetti economici che la crisi avrà nel paese.

Il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, ha promesso un pacchetto di aiuti da 150 milioni di dollari ma ciò non ha impedito il crollo della borsa turca e la svalutazione della lira. In un discorso pubblico, Erdogan ha affermato che la Turchia non dovrebbe fermare l’economia e ha anche promesso di donare sette mesi del suo stipendio al Paese, per un totale di 86 mila dollari. Ovviamente, questo non salverà l’economia, la cui situazione probabilmente continuerà a peggiorare con l’aggravarsi dell’emergenza legata al virus. Tuttavia, è importante ricordare che non è stata la crisi sanitaria e mettere in pericolo l’economia del paese. Il rapporto pubblicato l’anno sorso dalla Financial Action Task Force (FATF), un’organizzazione per la lotta al riciclaggio di denaro, ha inserito la Turchia nella “lista grigia” per le sue attività di finanziamento al terrorismo e la mancata applicazione di strumenti per contrastare il riciclaggio di denaro.

La risposta turca al Coronavirus è stata disastrosa. Ha gestito la crisi con azioni violente ed è emerso che in molte parti del paese manca ogni tipo di esperienza nella gestione delle emergenze sanitarie. Anche questa volta Ankara non ha dato il meglio, il Governo ha riconosciuto in ritardo l’entità dell’epidemia e ha imposto troppo tardi misure restrittive. Ha adottato una politica di negazione sui focolai di infezione, ed è emersa inoltre la mancanza di servizi sanitari pubblici che il governo ha “prosciugato” a vantaggio del settore privato.

I medici sono stati costretti a evitare di dichiarare che il virus fosse causa di morte, continuando ad omettere trasparenza sui fatti e sui numeri del contagio. Non è stato possibile consultare società mediche indipendenti e i comuni sono stati privati delle autorità e delle competenze di cui avevano bisogno per fronteggiare il virus. Ora è noto che Erdogan ha sottovalutato l’epidemia e si è preoccupato solo di due cose: un’economia fragile e ne ha quindi proibito la chiusura totale, e gli obblighi in politica estera come se fossero una cosa prioritaria. Tornando al rapporto della FATF, si è scoperto che mentre a dicembre iniziavano a circolare le prime indiscrezioni sul virus proveniente dalla Cina, il presidente Erdogan si incontrava col leader di Hamas, Isma’il Haniyeh. E dopo aver sospeso per due anni i finanziamenti della Turchia a Hamas pari a 100 milioni di $ all’anno, Erdogan ha ripreso a trasferire milioni di dollari in contanti alla delegazione di Hamas. Questo mentre tutto il mondo era impegnato a combattere il Coronavirus.

Se da una parte sta cercando di destinare ogni centesimo ai suoi cittadini, sia sotto forma di dispositivi per la respirazione o sostegni economici, dall’altra sembra che la Turchia e Hamas affrontino la situazione con leggerezza. La vera preoccupazione è che questo non sia che l’inizio, non si tratta di un trasferimento di denaro una tantum, ma sembra indicare il rinnovo del canale di finanziamento dello stato turco verso Hamas per i prossimi mesi. Erdogan cerca di ergersi a leader del mondo sunnita e in particolare dei Fratelli Musulmani, a cui Hamas appartiene. Il finanziamento è una spinta importante per questo movimento, considerato un’organizzazione terroristica, ma ostacolerà gli sforzi dell’economia turca di sopravvivere all’attuale emergenza.

A peggiorare le cose è che la maggior parte dei soldi sono destinati alle esigenze militari di Hamas e non a scopi umanitari, visto che il suo sistema politico controlla più di un milione di palestinesi nella Striscia di Gaza che lottano contro la povertà e con la preoccupazione dello scoppio di un focolaio di COVID-19, tenendo in considerazione che nella Striscia le infrastrutture sanitarie soffrono una grave carenza di materiali perché Hamas ha privilegiato le sue esigenze militari e la costruzione di tunnel. Questo finanziamento pone la Turchia in concorrenza con l’Iran e la Forza Quds (iraniana), i principali sostenitori di Hamas negli ultimi due anni, quando la Turchia non è stata al loro livello.

Se la Turchia continuerà con la sua politica provocatoria, e coi suoi finanziamenti a organizzazioni considerate terroristiche da Stati Uniti e Unione Europea, pur in qualità di membro della Nato, non avrà una situazione tanto diversa da quella riservata all’Iran. E’ probabile che sarà oggetto di sanzioni economiche, in un momento in cui lotta per salvare il proprio popolo da una delle più grandi crisi umanitarie della storia. Nel frattempo, turchi e palestinesi continueranno a pagare il prezzo delle priorità dei loro regimi, aggravato dalla crisi crescente che moltiplicherà il numero di malati e di morti. Sappiamo che Hamas non ha ben definita la sua strada, ma quando la Turchia di Erdogan capirà ciò che vuole veramente?

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