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La tregua e il ritorno delle manifestazioni in Siria

 di Amar Diop. Al Araby (04/03/2016). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi

Una volta entrato in vigore il cessate il fuoco in Siria, nella notte del 27 febbraio scorso, hanno fatto ritorno anche le proteste popolari. Quest’ultime hanno coinvolto numerose città siriane, da Dara a Homs fino ad Aleppo. I civili scesi in piazza hanno accolto con favore la tregua e queste manifestazioni sono il segno della volontà di ristabilire la rivoluzione dall’interno rifiutando qualsiasi opzione militare.

Chi più di tutti invece detesta questa tregua è il regime, seguito da Iran, il partito libanese Hezbollah, le milizie settarie e le organizzazioni militari di opposizione. Il periodo di tregua ha dimostrato l’avanzamento della Russia sul territorio siriano il cui scopo è proprio l’estensione del controllo in Siria, obiettivo che non può essere raggiunto senza una soluzione politica.

La tregua era anche la sola condizione di negoziazione per la delegazione saudita, oltre a essere vista come il passo più importante necessario al popolo siriano, secondo la mediazione russo-americana. Ma il fatto più rilevante è che la cessazione delle ostilità ha segnato il ritorno delle manifestazioni di piazza al ritmo dello slogan: “il popolo vuole la caduta del regime”. I manifestanti vogliono inviare al mondo un messaggio molto chiaro: “vogliamo la tregua e i negoziati, vogliamo raggiungere i nostri obiettivi in Siria.”

Giunta la tregua si inizia anche a parlare di spartizione da parte del ministro degli esteri americano, russo e britannico. Alcune forze in Siria stanno pensando a questa probabilità e soprattutto al fatto che la soluzione militare non ha fatto cadere il regime e tanto meno sarà utile a trovare una soluzione politica. Ma il piano di spartizione conferisce autorità a un altro punto: si pensi al partito di Unione Democratico Curdo (PYD) e a ciò che si è detto su una Siria vantaggiosa e la presenza di Daesh nella regione.

Questi “chiacchiericci” sono stati respinti dalla Turchia, il maggior giocatore nello scenario regionale, così come dall’Arabia Saudita. La Russia invece, nonostante le sue dichiarazioni di approvare la nascita di una repubblica federale in Siria, ha lanciato una politica a favore dell’occupazione siriana che implica il dominio del destino nazionale del paese per i decenni a venire. La nascita di uno stato federale equivale all’estensione di maggiori diritti regionali, soprattutto per il noto partito curdo, mentre il potere centrale rimarrebbe nella capitale di Damasco.

Il messaggio delle manifestazioni in Siria è che sono d’accordo a qualsiasi sforzo che ponga fine alla presenza e all’uso delle armi contro il popolo siriano, incominciando proprio dal regime e i suoi sostenitori. Lo stesso vale per le armi di Daesh e del fronte Al-Nusra. Sostengono poi la fine della presa militare in Siria e l’unione degli sforzi da parte di tutte quelle fazioni accomunate da un senso nazionale. Inoltre, appoggiano le trattative e riconoscono il fallimento della soluzione militare.

E’ prevista un’estensione delle recenti manifestazioni fino a quando la tregua durerà. Quest’ultima è sostenuta anche dalla politica estera che appoggia l’avvio dei negoziati. Solamente il regime è a favore dell’interruzione della tregua poiché c’è in gioco il futuro stesso del potere di Damasco e la sua transizione. Se da una parte c’è dunque la volontà di avviare una soluzione politica, dall’altra ci sono attori che vi si oppongono.

E’ quindi possibile che il gioco regionale e internazionale sul territorio siriano termineranno e che la spartizione regionale porrà fine alla catastrofe siriana, da cui deriva una delle maggior crisi a livello globale nonché la fuga di migliaia di profughi in Europa. Sono passati cinque anni dallo scoppio del conflitto in Siria e il regime ha già fallito numerose volte ma è ormai chiaro a tutti che la risoluzione della crisi siriana è diventata una necessità.

In questo senso, la tregua rappresenta una condizione necessaria per negoziare ed è l’inizio verso la soluzione politica. I temi della trattativa includeranno la posizione della presenza russa in Siria, e di quella americana. Se le recenti manifestazioni sono a condanna del regime, le prossime, saranno proprio contro la Russia e la presenza americana in Siria. La rivoluzione siriana non è avvenuta per sostituire la tirannia con l’occupazione. Ora è tempo di cambiamento in Siria ed è giunto il momento di scontrarsi contro l’occupazione straniera.

Omar Diop è uno scrittore siriano

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Silvia Di Cesare

1 Comment

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  • La differenza tra Arabia Saudita e Siria è che se protesti pacificamente in Arabia vieni decapitato come fa L’ISIS… se lo fai in Siria hai la libertà di poterlo fare… Quando le proteste arriveranno nel territorio del regime saudita (il quale ricordo la totale assenza di democrazia) ho paura che ci sarà un bagno di sangue molto più grande rispetto a quello siriano.
    Lunga vita a tutti i popoli in lotta