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La storia della “conversione” di Micha Kurz

Di Laura Rivas Martínez. El País (06/03/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

“Mi dispiace molto”, esclama con volto preoccupato Micha Kurz quando viene a sapere del tasso di disoccupazione in Spagna. È una realtà che le rimane lontana. Micha, israeliano, ex soldato decorato, attualmente attivista per i diritti dei palestinesi a Gerusalemme, sua città natale, ha la mente occupata da altre questioni. Durante i suoi 33 anni vita, l’idea che aveva di Gerusalemme si è completamente capovolta. La chiama “capitale palestinese”. Appoggia il boicottaggio di Israele e ammette di aver violato diritti umani dei palestinesi durante il suo periodo nell’esercito e di essere stato parte “dell’occupazione”.

Zoom 08 mar Micha Kurz“A Gerusalemme Ovest, sono cresciuto nella bolla del mio quartiere”, spiega Micha, con l’atteggiamento formale e distaccato di chi è abituato a parlare di sé in pubblico. I suoi familiari erano “sionisti di sinistra”, come li chiama lui. È cresciuto negli anni ’90, dopo gli Accordi di Oslo, e nonostante avesse l’abitudine di andare a prendersi un caffè a Ramallah (attuale capitale palestinese in Cisgiordania) o a Betlemme, non ha mai visitato la parte araba della sua città. “Quando hanno iniziato a piazzare bombe nei caffè di Tel Aviv e di Gerusalemme, eravamo più che mai confusi. Non conoscevamo la realtà della Cisgiordania: Israele stava costruendo un sistema di barricate e controlli che impediva alla gente di andare al lavoro, all’ospedale, al mercato”.

“Sono entrato nell’esercito a 18 anni, nel 2001”. Era appena scoppiata la seconda intifada. “Sin da quando avevo otto anni avevo desiderato arruolarmi, provai anche a entrare nelle unità d’élite”. In Israele, il servizio militare è obbligatorio: tre anni per gli uomini, due anni per le donne. “È stato il periodo più violento dell’occupazione. Israele stava riconquistando le città palestinesi. Non solo controllavo la frontiera, ma proteggevo i coloni”. I primi che ha conosciuto sono stati quelli di Hebron: “Erano meschini e razzisti e noi eravamo lì per aiutare la loro espansione. Li aiutavamo a crescere a spese della proprietà e del mercato palestinesi”. Quando era dentro, non era critico: “Quello che dice il sergente è parola di Dio”.

Oggi, con i capelli brizzolati e l’orrore dell’occupazione confessato tra un sorriso e l’altro, Micha sa che essere soldato ti cambia la vita: “A 19 anni, quando imbracci un arma così grande, ti rendi contro di quanto è facile oltrepassare i limiti. Potevo trattare persone dell’età di mia nonna come mi pareva”. Terminato il servizio militare, lui e altri compagni hanno creato un’associazione di soldati che criticano l’occupazione israeliana.

Adesso Micha passa la maggior parte del tempo con i palestinesi di Gerusalemme Est: “È la parte più affascinante della città”. L’organizzazione alla quale appartiene, la Grassroots Jerusalem, cerca di dare voce ai “leader locali” palestinesi: “Mettiamo in contatto i diversi quartieri. L’informazione sulla città è molto frammentata”.

Per cambiare le cose, bisogna prendere coscienza della propria storia. “Anche se avessimo regalato caramelle ai check-point, non ci sarebbe stato modo di trasformare l’occupazione in qualcosa di umano”.

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