News Palestina Politica Società Zoom

La “settimana della rabbia” contro il piano Prawer

Zoom 26 nov ppiano PrawerDi As’ad Talhami. Al-Hayat (25/11/2013). Traduzione e sintesi di Laila Zuhra.

Sono iniziate domenica in tutte le città arabe di Israele le manifestazioni che culmineranno nella cosiddetta “giornata della rabbia” di sabato prossimo per protestare contro il Piano Prawer, che prevede l’espulsione degli arabi del Negev (Israele meridionale) dai loro territori.

Sotto lo slogan “Prawer non passerà”, domenica si è tenuto uno sciopero generale nel Negev, accompagnato da dimostrazioni in tutta Israele come protesta contro la visita nell’area da parte dei membri della Commissione interna del Knesset, il parlamento israeliano, che ha sviluppato il Piano unilateralmente senza consultarsi né tenere conto della comunità locale beduina.

Talab Abu Arar, rappresentante del Movimento Islamico, ritiene che la visita della Commissione abbia scarso significato, dal momento che la maggior parte di coloro che vi hanno partecipato fanno parte dell’amministrazione Prawer di Be’er Sheva e hanno scelto di fare capo esclusivamente al governo senza coordinarsi con le autorità locali arabe, dimostrando così che “il governo israeliano e i suoi organismi trattano gli arabi come dei nemici”.

Mentre il governo afferma che lo scopo del progetto è quello di risolvere il conflitto in corso tra il beduini del Negev e le autorità israeliane sulla proprietà dei territori del Distretto meridionale con la conseguente pianificazione di futuri villaggi per i beduini, le popolazioni indigene sostengono che il Piano mira a depredarli delle terre che sono rimaste in loro possesso dopo la Nakba nel 1948.

Secondo uno studio condotto dal Centro Arabo per un’alternativa alla Legge Prawer, con l’attuazione del progetto decine di migliaia di cittadini verrebbero espulsi dai trentaquattro villaggi che Israele ha rifiutato di riconoscere dopo la sua fondazione e stipati in altri già esistenti; inoltre, il Piano, che prevede l’individuazione di un’area riservata alla popolazione beduina (la parte est della strada principale che porta a Be’er Sheva) appare in realtà come una proposta di “ghetto”, molto simile all’apartheid sudafricano.

Il Centro mette in guardia sul fatto che, nel caso della concessione di un risarcimento sul prodotto dei terreni utilizzati per la coltivazione all’interno dei villaggi riconosciuti, la superficie dei territori ancora in possesso dei beduini rischia di ridursi ulteriormente: è possibile, infatti, che il prodotto di quei terreni possa bastare a coprire come risarcimento le migliaia di richieste presentate alle autorità sin dagli anni ’70 per rivendicare la proprietà di terreni agricoli e pascoli. Ciò significherebbe che dal punto di vista del governo israeliano non ci sarebbe il bisogno di riconoscere villaggi attualmente “non riconosciuti” o di costituirne di nuovi.

Vai all’originale