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La Russia e la “guerra santa” in Siria

Russia Siria

Di Sami Nader. Al-Monitor (28/10/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Negrini.

Il 16 ottobre scorso la Chiesa ortodossa russa ha definito “Guerra Santa” l’intervento russo in Siria, fatto che ha prodotto dibattiti e preoccupazione in Libano e in altre aree del Mashreq arabo, considerando le possibili ripercussioni sull’esistenza e il ruolo dei cristiani nell’area. Immediatamente una campagna musulmana ha replicato invitando al jihad islamico. Lo sheikh Yusuf al-Qaradawi, presidente dell’Unione Internazionale degli Studiosi Musulmani ha protestato dichiarando: “Quando noi difendiamo la nostra patria e le nostre case in nome dell’Islam, in cui crediamo, siamo accusati di terrorismo, nel frattempo la Russia sta bombardando la Siria e l’Opposizione in nome di una guerra santa”.

L’inquietudine in Libano, in seguito alla dichiarazione, era prevedibile. Dopo tutto il Libano è un paese del Medio Oriente con un’importante comunità cristiana, per quanto riguarda la sua rappresentanza politica e il suo ruolo storico.

Non è la prima volta che un’autorità religiosa o il leader di un movimento ha sfruttato la santità di una guerra. La storia dell’antico Mashreq è pieno di esempi al riguardo. Più recentemente, durante un discorso del 2014, la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khomeini, ha alzato gli stendardi della “Difesa Sacra”. Qualche anno prima, nel gennaio 2009, Osama bin Laden ha dichiarato il jihad per fermare la guerra israeliana a Gaza. Il 2 luglio di quest’anno in Yemen, il leader Houthi Abdul Malik al-Houthi ha supplicato i suoi sostenitori di finanziare un santo jihad per fronteggiare la campagna militare condotta dall’Arabia Saudita. In altre parole, la regione è stata testimone di numerosi inviti al jihad sia da sunniti che sciiti.

Ciò che ha realmente sorpreso della dichiarazione russa è stato il fatto che sia stata fatta da un’autorità religiosa cristiana. È insolito per il Medio Oriente e richiama alla memoria le Crociate sostenute dalla Chiesa cattolica, combattute tra l’XI e il XIII secolo. Il posto delle Crociate nella memoria collettiva del Masreq è ben noto, così come la consapevolezza delle ferite profonde e ancora fresche che si sono lasciate dietro.

Ciononostante la dichiarazione della Russia ortodossa ha prodotto qualche risposta positiva tra i cristiani siriani e soprattutto libanesi, dove alcuni membri della comunità, in particolare i membri della Coalizione dell’ 8 maggio, che include il Movimento Cristiano Libero Patriottico, il quale sostiene il regime di Bashar al-Assad. Senza voler entrare in merito al ragionamento sottostante questo appoggio, secondo la stampa locale, alcuni sostenitori libanesi di Assad stanno scommettendo sull’intervento russo per promuovere un candidato pro-siriano alla presidenza del Libano.

In contrasto con le posizioni della Chiesa russa, Elias Audi, vescovo della Chiesa ortodossa greca dell’arcidiocesi di Beirut, ha dichiarato  nel suo sermone del 18 ottobre: “Chi uccide non sarà benedetto. La vita umana è ad appannaggio del Signore, e chiunque uccida un essere umano intende, in una qualche maniera, uccidere il Signore.” e ha aggiunto: “la Chiesa non benedice le guerre e non le definisce sacre. Non santifica guerre e non accetta una dichiarazione di questo tipo.”

Il 2 Ottobre anche un ex ministro e direttore dell’Istituto Issam Fares presso l’Università Americana di Beirut ha twittato: “L’intervento russo è in difesa di Assad o per fargli acquistare una posizione di forza nei negoziati. La difesa della cristianità è una propaganda domestica” e poco prima aveva twittato: “La Chiesa russa ha usato un linguaggio di pace contro la guerra americana in Iraq nel 2003. Oggi usa il linguaggio della “guerra santa” per sostenere Putin in Siria”.

Qualunque sia la posizione dottrinale della Chiesa ortodossa russa, la sua santificazione della guerra  finanziata da Putin in Siria ha come intento primario quello di sostenere il leader del Cremlino e probabilmente è stata fatta su sua richiesta. La Chiesa è senza dubbio consapevole che le minoranze sono il punto debole di questo gioco mortale internazionale e quelle che più probabilmente ne pagheranno il prezzo. Se Putin perde, “vendetta” sarà il nome del gioco e le minoranze dovranno fronteggiare delle rappresaglie. Se vince, nascerà del risentimento e il risentimento è una boma ad orologeria nel mondo arabo.

Sami Nader è un giornalista, economista e esperto di comunicazione. Attualmente dirige il Levant Institute for Strategic Affairs.

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Claudia Negrini

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