Egitto Zoom

La rivoluzione egiziana è morta sotto la tortura?

Di Helmi al-Asmar. Middle East Monitor (28/01/2016). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen.

Criticare l’atteggiamento della magistratura egiziana nei confronti di coloro che uccidono i detenuti deliberatamente, è questo ciò che ha fatto Negad El-Borai, avvocato e attivista per i diritti umani, intervenendo in un noto canale televisivo egiziano e sostenendo che la sentenza emanata contro due agenti di sicurezza nazionali accusati di aver torturato l’avvocato Kareem Hamdy fino alla morte, è un esempio di come giudici mostrano “compassione” verso i funzionari statali, mentre i cittadini comuni sono costretti ad affrontare duramente la legge.

Nonostante la legge stabilisca chiaramente che, se un sospetto viene ucciso sotto tortura nel tentativo di farlo confessare, si ritiene la morte “omicidio intenzionale”, El-Borai ha sottolineato come tuttavia i tribunali si mostrino tendenzialmente “compassionevoli” verso gli ufficiali, non permettendo ai cittadini di difendersi sfidando la sentenza della Corte di Cassazione. In questo modo, “torturatori” all’interno del Ministero degli Interni non si preoccupano di quello che fanno poiché sanno che poi la magistratura egiziana li tratterà con compassione. E’ così che la tortura continua a farla da padrone nelle stazioni di polizia ogni volta che qualcuno viene arrestato e trattenuto.

Richiedendo che questi criminali vengano rimossi dal servizio pubblico e licenziati in tronco, oltre ad essere costretti a pagare un risarcimento per il loro abuso e per aver danneggiato la reputazione delle forze di polizia, El Borai ​​ha aggiunto che allo stato attuale la storia della rivoluzione egiziana sembra essere morto sotto la tortura, o può dirsi clinicamente morta in attesa che qualcuno si svegli dal coma. Dopo cinque anni dalla rivoluzione, l’Egitto si trova così di nuovo in una situazione di stallo perché sono in molti quelli che mettono in dubbio la veridicità della rivoluzione, perché le rivoluzioni dovrebbero non solo cambiare il capo del regime, ma anche il regime stesso. Al contrario invece, in Egitto è stato come se la controrivoluzione abbia solo inserito una nuova testa al comando per disporre le cose di nuovo esattamente com’erano prima della rivoluzione, o anche peggio.

“Morte sotto tortura” è diventata un’espressione ampiamente diffusa nell’Egitto post-rivoluzionario, non è sorprendente leggere o sentire i media egiziani dare segnalazione “semi-ufficiale” della morte di qualcuno in questo modo. Le informazioni raccolte dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani mostrano che il numero dei morti a causa delle torture e della negligenza medica nelle prigioni egiziane, dal colpo di Stato del 3 Luglio 2013, è molto più elevato rispetto al dato ufficiale di 350 persone, non includendo le statistiche tutti quelli che sono semplicemente “scomparsi” o la cui morte non è stata riconosciuta. Le ragioni addotte per la morte di volta in volta, includono scosse elettriche, le parti del corpo mozzate, ossa rotte e mancanza di assistenza medica, anche se molte volte viene perfino affermato che il prigioniero si sia “suicidato”.

La morte anche di un solo individuo sotto tortura in ogni paese non dovrebbe essere una delle principali cause di preoccupazione? La rivoluzione in Egitto ha gettato un’ombra su altri paesi arabi, sia che siano stati oggetto di una esperienza primavera araba che è andata terribilmente storto, o che siano ancora una speranza per una rivoluzione a venire. Oggi, cinque anni dopo, gli egiziani chiedono ancora una rivoluzione, che venga rivista e intensificata, che li protegga dall’oppressione e dall’essere sequestrati e uccisi sotto tortura.

Helmi al-Asmar è giornalista per il sito di informazione online Middle East Monitor.

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