In poche parole Zoom

La rivoluzione di Amina al-Filali

di Zouhir Louassini (Alif Post 14/03/2012) – Traduzione di Claudia Avolio
La rivoluzione non è fatta dagli slogan gridati per le strade. Non è la caduta di un regime. La vera rivoluzione è il cambiamento delle mentalità. E quanto è accaduto a Larache è un’ulteriore prova che la distanza tra noi e un cambiamento reale della società è ancora troppa.

Il suicidio di Amina al-Filali, costretta a sposare il suo stupratore, è solo un esempio dettato da quelle leggi ingiuste che tuttora risiedono nei libri dei nostri giudici. Non è facile far accettare a qualcuno che in un Paese si trovi, nel ventunesimo secolo, una “giustizia” che permetta tali ingiustizie. Dobbiamo avere la capacità di capire che un grosso settore della nostra società tratta una donna che ha subìto uno stupro (e la donna in senso più ampio del termine) come se lei stessa fosse la delinquente. Il matrimonio allora diventa una “concessione” in difesa del suo onore e, in quanto tale, un suo diritto. E’ una società malata questa, che non acconsente ad uscire dal suo guscio maschilista! E il primo passo per combattere questa malattia è estirparne le cause.
Noi ci troviamo di fronte a una mentalità maturata guardando le donne come esseri inferiori. E’ sufficiente consultare alcuni testi religiosi che si trovano sugli scaffali delle nostre librerie per capire che c’è chi ha preso la religione come alleato per far scoppiare le proprie malattie nel cuore della società. Alcuni imam usano ancora le loro tribune per istigare il maltrattamento delle donne, e tra loro c’è chi non esita a punire ogni donna che tenti di alzare la testa contro una mentalità che deve la sua legittimità ai secoli ormai trascorsi. Il mondo cambia e loro sono ancora imprigionati nei corridoi oscuri della Storia. E peggio ancora, è la società stessa che appoggia questi atteggiamenti di chiusura ogni volta che ne ha la possibilità. E la prima a pagare il prezzo del suo regredire è la donna.
La vera rivoluzione è il cambiamento delle mentalità.
Il gesto di Amina al-Filali è il grido disperato di una donna inghiottita dal gorgo dell’ingiustizia per nove mesi. Una donna? Una ragazzina di sedici anni. I suoi sogni si sono spezzati nello scontro con una società dura che non è capace neppure di comprendere i propri errori. Leggi che permettono di “riparare al danno” e a un’ingiustizia di tale portata non possono essere la strada per formare una società civile. Il minimo che si possa sperare è l’appello affinché l’articolo 475 del Codice penale marocchino – che permette abusi di questo genere – venga cancellato. Si devono poi abolire tutte quelle leggi (e sono molte) che legittimano l’ingiustizia travestendola col mantello della religione o delle tradizioni. Solo allora saremo di fronte all’insorgere della rivoluzione. Altrimenti si tratta solo di sommosse per raggiungere il potere.
Quando mi ricordo che il nuovo Codice della Famiglia viene considerato un passo importante nel cambiamento della condizione della donna, quando leggo il Codice  e noto che le sue leggi ingiuste sono ancora la fonte da cui attinge la nostra legislazione, quando vedo alcuni che le rifiutano considerando tali leggi una deviazione dai valori della religione autentica, quando mi imbatto nei commenti che siamo tanto abituati a trovare sulla carta stampata o su internet circa il permesso di sposare una bambina di nove anni, quando ascolto le affermazioni dell’unica ministra donna al governo sui diritti delle donne… allora sento che la strada del vero cambiamento è ancora lontana e che la distanza tra noi e il mondo invece di diminuire aumenta.

About the author

Zouhir Louassini

Zouhir Louassini. Giornalista Rai e editorialista L'Osservatore Romano. Dottore di ricerca in Studi Semitici (Università di Granada, Spagna). Visiting professor in varie università italiane e straniere. Ha collaborato con diversi quotidiani arabi tra cui al-Hayat, Lakome e al-Alam. Ha pubblicato vari articoli sul mondo arabo in giornali e riviste spagnole (El Pais, Ideas-Afkar). Ha pubblicato Qatl al-Arabi (Uccidere l’arabo) e Fi Ahdhan Condoleezza wa bidun khassaer fi al Arwah ("En brazos de Condoleezza pero sin bajas"), entrambi scritti in arabo e tradotti in spagnolo.

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