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La “Repubblica dei migranti” sulle sponde del Mediterraneo

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Il tentativo di distogliere i migranti dal proseguire il loro viaggio attraverso il Mediterraneo ha portato alla proposta di creare un enorme campo profughi sulle coste libiche

Di Samir al-Saadawi. Al-Hayat (27/09/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Cascone.

In molti non hanno preso sul serio la minaccia del presidente francese François Hollande di distruggere le imbarcazioni dei clandestini, lo scorso anno. Allo stesso modo, pochi si aspettavano una reale concomitanza tra parole e fatti dopo il vertice anti-immigrazione tenutosi a Malta nel novembre 2015, quando i leader europei hanno stabilito, di comune accordo, di destinare 1,8 milioni di euro alla lotta a quelle che sono state definite “le cause intrinseche delle migrazioni”.

È trascorso ormai un anno: da allora più di 3.200 migranti sono morti perché le loro barche sono affondate nel Mediterraneo, in aggiunta ai più di 10.000 morti dal 2014, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). La maggior parte dei migranti che salpano dalla sponda meridionale del Mediterraneo sono sudanesi, somali, eritrei ed etiopi e le autorità egiziane ne hanno arrestati circa 4.600 solo quest’anno, impedendogli di proseguire i loro pericolosi viaggi verso le coste europee. Invece i migranti che attraversano il Mar Egeo sono perlopiù siriani, iracheni, talvolta pakistani o afghani.

“Azioni concrete, non vuote promesse”, questo il titolo dell’articolo di Aurelie Ponthieu, consigliera per le migrazioni di Medici Senza Frontiere, che, in occasione del vertice per i rifugiati e i migranti che si è tenuto a margine delle riunioni dell’Assemblea generale dell’ONU a New York, ha sottolineato che i “nobili obiettivi” sono spesso in contrasto con le effettive pratiche degli Stati che hanno partecipato al vertice di New York. La consigliera ha chiarito che “piuttosto che rispettare i diritti umani e tener fede agli impegni presi, troppi governi hanno adottato un approccio più restrittivo e più dannoso che mai per i rifugiati”, e ha aggiunto che un approccio del genere mette a repentaglio le fasce più vulnerabili di uomini, donne e bambini.

Probabilmente il nocciolo della questione è che, piuttosto che affrontare le cause alla radice e perseguire i trafficanti di umani, molti governi fingono che il problema non esista fino al sopraggiungere di una nuova tragedia e di un nuovo computo dei morti. Allora li si accompagna con qualche promessa e qualche condanna, messe da parte dopo qualche ora. Il problema dei migranti richiede una massiccia cooperazione internazionale e regionale, non solo per combattere le cause, ma anche per monitorare i trafficanti, via terra e via satellite.

I paesi del Nord Africa, soprattutto l’Egitto e la caotica Libia, fanno da corridoio al flusso dei migranti, ma non sono l’ultima tappa per coloro che sognano una nuova vita in Occidente, a meno che non venga attuata la proposta che il primo ministro ungherese Viktor Orban ha avanzato al vertice di Vienna, qualche giorno fa: creare un enorme campo profughi, delle dimensioni di una città, da qualche parte sulla costa libica, per accogliere i richiedenti asilo provenienti dai diversi paesi dell’Africa. La proposta potrebbe quasi sembrare legittima dal punto di vista europeo, considerate le vaste aree libiche, il problema è che l’affluenza suggerisce la necessità di ben più di una città. La paura è che il numero degli espatriati cresca ancora, e allora le città potrebbero diventare una regione, uno Stato, o addirittura una “Repubblica di migranti”.

Samir al-Saadawi è un giornalista e analista politico libico, editore della sezione internazionale del giornale panarabo Al-Hayat.

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