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La politica estera egiziana: olio, acqua e rivoluzione

Al-Sharq al-Awsat (16/07/2012). Al momento di salire al potere, il presidente egiziano Mohammad Morsi si è reso conto che la politica estera dell’Egitto post-rivoluzionario gira intorno a due elementi fondamentali: l’acqua ed il petrolio. Morsi ha constatato che, da un punto di vista geografico e strategico, è determinante rapportarsi con gli stati petroliferi del Golfo, primo di tutti l’Arabia Saudita, e con i paesi del bacino del Nilo.

Solo negli stati petroliferi, vivono circa tre milioni di egiziani ed a loro si uniscono più di sette milioni di residenti che dipendono dai profitti. Quindi, non è saggio per un presidente egiziano di qualsiasi orientamento ideologico ignorare i quasi dieci milioni della popolazione ed i loro interessi. Perdere un tale sostegno popolare è significativo.

Allo stesso modo, è impensabile ignorare quei paesi, in particolare l’Etiopia, che fanno parte del bacino del Nilo, linfa vitale del paese. La politica estera dell’Egitto ha fallito perché la sua visione non comprendeva questi paesi e non è riuscita a svilupparsi in un modo per loro accettabile.

Il carattere fallimentare della politica estera egiziana si è manifestata soprattutto negli ultimi anni dell’epoca Mubarak, dominata dalla corruzione. Al contrario, le due visite in Arabia Saudita e poi in Etiopia intraprese da Morsi possono favorire lo sviluppo di un nuovo realismo politico guidato dagli interessi e non da una qualsiasi ideologia.

La politica estera egiziana, sin dai tempi di Nasser, era impostata sulla teoria dei tre cerchi: quello egiziano, quello arabo e quello africano. In realtà, l’esercizio di questa politica era molto diverso dalla logica dei tre cerchi, visto che l’Egitto aveva un atteggiamento imparziale essendo parte integrante della strategia sovietica in Medio Oriente.

La teoria dei cerchi è, purtroppo, diventata un ostacolo al dialogo nella politica estera egiziana. I primi passi del presidente Morsi suggeriscono la possibilità di sviluppare un nuovo modo di pensare della politica estera che sia dominata dagli interessi reali del paese.

L’Africa è importante per l’Egitto, ma nella nostra attuale visione è come se ci considerassimo al di fuori di essa. Lo stesso accade nei confronti con il mondo arabo. Questa incertezza sulla nostra identità e l’esistenza di una separazione geografica non ci permette di formulare una concezione della politica estera che sia governata dalla realtà dei fatti. Sono le illusioni che, in passato, hanno portato al fallimento della politica estera del nostro paese.
Le visite di Morsi, al contrario, danno l’impressione che esista una buona possibilità di creare una politica estera basata sugli interessi reali e non sulle illusioni, ma questo richiede una certa profondità di pensiero.Il problema della politica estera in Egitto è che è dominata da un atteggiamento di chiusura che non permette di pensare all’estero in maniera ampia e generale. Lo spazio ideologico è dominato da un’idea di purezza nazionale ed islamica. La comunità egiziana dimentica, ad esempio, che l’Arabia Saudita, al di là dell’ideologia islamica, costituisce lo stato con la più estesa frontiera con il nostro paese e che ospita la più grande concentrazione di egiziani all’estero. Quindi, le relazioni con l’Arabia Saudita sono le più importanti per qualsiasi capo di stato con un minimo di sensatezza.

Quello che più serve nell’Egitto post-rivoluzionario non sono il denaro ed il supporto: servono idee nuove, merce molto rara nel nostro mondo adolescente.

Articolo di Mamoun Fandy