Immigrazione Palestina Zoom

La Merkel e la rifugiata palestinese: nessuno ha centrato il punto

Angela Merkel

Di Susan Abulhawa. Middle East Eye (20/07/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Il 14 luglio scorso, la Cancelliera tedesca Angela Merkel è apparsa in un programma televisivo intitolato “Good Life in Germany”. Nel pubblico c’era anche la tredicenne Reem, rifugiata palestinese scappata da un campo profughi del Libano quattro anni fa. 

Con la voce tremante, ma in un tedesco fluente, la giovane ha detto: “Ho degli obiettivi come chiunque altro. Voglio andare all’università”. Ma poi ha spiegato che lei e la sua famiglia stanno affrontando la deportazione. “Fa male vedere gli altri godersi la vita mentre io non posso. Voglio poter studiare come loro”, ha aggiunto.

La Cancelliera ha reagito con quel timore degli immigrati tipico dell’Occidente: se la Germania permette a lei di rimanere, ecco che arriverebbero migliaia di rifugiati palestinesi ed altri ancora dall’Africa – quel singolare, grande Paese. “Non possiamo far fronte a tutto questo”, ha concluso Merkel. Reem è scoppiata in singhiozzi, mentre il video della conversazione ha fatto il giro del web.

L’incidente è stato fatto rientrare perlopiù nel tema caldo della “crisi migratoria” nei Paesi dell’Europa occidentale. Gli esponenti della sinistra hanno bollato la Cancelliera come senza cuore, insistendo sulla responsabilità umanitaria dell’Europa verso i più i disgraziati di questa terra. Dal canto suo, la destra ha fatto eco a quanto espresso da Merkel, e cioè che l’Europa ha già abbastanza a cui pensare per farsi carico dei problemi del mondo. I più pragmatici hanno ripreso le parole di Eva Lohse, Presidente dell’Associazione Tedesca delle Città: “Stiamo raggiungendo i limiti delle nostre capacità”. 

Nessuna di queste analisi, tuttavia, ha centrato il punto. Nessuna ha accennato al fatto che Reem è una rifugiata, direttamente e indirettamente, a causa delle azioni della Germania. Reem, e con lei migliaia di altri rifugiati palestinesi, non ha uno Stato in quanto i Paesi occidentali sostengono il colonialismo sionista, che ha espulso e continua ad espellere i nativi palestinesi dalla loro terra.

Reem non avrebbe bisogno di carità se la Germania pretendesse da Israele, in cambio dei massicci aiuti militari ed economici, l’adesione ai principi fondamentali della moralità e del diritto internazionale e la fine dell’apartheid sionista. 

Tuttavia, più che il sostegno materiale, è la copertura politica che la Germania offre ad Israele a distruggere la vita, la società e la cultura palestinese. Lo scorso anno, ad esempio, il governo tedesco ha votato contro l’istituzione di una commissione d’inchiesta per indagare sulle violazioni durante l’operazione Barriera Protettiva contro la Striscia di Gaza.

La risposta che Merkel ha dato a Reem è l’esatta dimostrazione di come i Paesi occidentali, i veri generatori di rifugiati, siano capaci di negare in modo tanto ostinato quanto sconvolgente.   

La verità è che la devastazione del Medio Oriente è da imputare principalmente alle “operazioni” imperialiste dell’Occidente, alla conquista di un’egemonia che non ha rispetto delle nostre vite. Dall’Iraq alla Palestina alla Libia, la Germania ha avuto in questo un ruolo terribile e fondamentale.

Quindi basta con il dibattito se dovete o meno “aiutare” gli altri. Provate a fare un minimo di onesta auto-critica nel discorso sull’immigrazione. Analizzate il vostro ruolo nello sviluppo delle varie crisi nel mondo, le stesse che portano esseri umani disperati sulle vostre coste. Chiedetevi perché Reem è una rifugiata, forse di terza o quarta generazione, e qual e il ruolo della Germania in questa tragedia senza confini che riguarda la Palestina.

Susan Abulhawa è una scrittrice americano-palestinese. Il suo ultimo romanzo, “Nel blu tra il cielo e il mare”, è stato pubblicato quest’anno e tradotto in molte lingue.

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