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La graduale apertura socio-culturale dell’Iran

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Di Ali Falahi. El País (11/04/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Ai lati di via Hijab, nel centro di Teheran, si trovano i centri per lo sport femminile. Non a caso, portano lo stesso nome della strada, che significa ‘velo’, in un Paese con simboli islamici in ogni dove che segnano la vita quotidiana degli iraniani.

Iran donne sportTuttavia, qualcosa inizia a cambiare. Sono piccoli gesti, timide aperture sociali. La scorsa settimana è stata elaborata una normativa che permetterebbe alle donne di entrare nelle strutture sportive. Il mese scorso, l’Orchestra Sinfonica di Teheran ha ripreso a suonare dopo tre anni di silenzio, ordinato dall’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. Pochi giorni prima, il 28 febbraio, la presentazione di un libro di testo in curdo ha costituito un primo passo verso il compimento della promessa elettorale del presidente Hassan Rohani: rispettare il diritto delle minoranze di studiare nella loro lingua.

Numerosi analisti osservano con cautela i cambiamenti graduali introdotti dal governo Rohani. Li vedono come parte di una politica strategica per non incoraggiare i settori più conservatori in piena negoziazione nucleare e stimano che, se l’accordo verrà firmato, il presidente implementerà riforme sociali a una ritmo più sostenuto.

Lo scorso lunedì, Shahindokht Molaverdi, la vicepresidente per gli Affari della Donna e della Famiglia, ha annunciato che un comitato formato da membri del suo ufficio e del ministero dello Sport e della Gioventù ha stabilito delle regole affinché le donne possano entrare negli stadi. Il processo andrà per fasi e in un primo momento l’obiettivo sarà “rendere possibile l’accesso delle donne alle partite di pallavolo”. Abdolhamid Ahmadi, viceministro, ha segnalato che ci sono delle eccezioni alla normativa: le donne e le loro famiglie non potranno assistere agli sport definiti “maschili”, come la boxe, il nuoto e il calcio.

Farnaz Rahimi, studentessa di Educazione Fisica, esce da una delle sale di via Hijab. Crede che la notizia sia positiva, “ma il problema è che non permettano alle donne di vedere le partite di calcio”, afferma. Da parte sua, Fatemeh Sahraei, che pratica karatè, pensa che “il calcio è lo sport più popolare in Iran, ma sfortunatamente ora come ora l’ambiente degli stadi è talmente immorale che preferisco non andare e vedere le partite alla televisione”. Bahar Mohammadnia, istruttrice di nuoto, pensa invece che la misura sia limitata, sostenendo che “le federazioni internazionali dovrebbero punire l’Iran e, per esempio, non permettergli di ospitare nessun evento se le donne non possano entrare negli stadi. È esattamente per questo che lo permetteranno”.

Lo scorso novembre, la Federazione Internazionale di Pallavolo (FIV) ha deciso di togliere all’Iran l’organizzazione del Mondiale Under-19 di quest’anno, passandola all’Argentina. Alcuni analisti considerano la decisione della FIV come una reazione alla detenzione dell’attivista iraniano-britannica Ghoncheh Ghavami, arrestata per aver cercato di assistere a una partita di pallavolo tra Iran e Italia. È stata liberata su cauzione dopo quasi cinque mesi di carcere. Simin Mghimi, istruttrice di taekwondo, incolpa le donne stesse “perché la maggior parte non  reclama i propri diritti”, ma è ottimista sulle recenti misure del governo, che definisce “dei primi passi”.

Altro sintomo di questa timida apertura voluta dal governo moderato è la riapertura ufficiale dell’Orchestra Sinfonica di Teheran in marzo. Lo scorso governo e il suo presidente assai più conservatore, Mahmoud Ahmadinejad, l’avevano messa a tacere per anni con la scusa di mancanza di fondi nel bilancio, scelta applaudita dai settori ultraconservatori iraniani che hanno sempre guardato alla musica con sospetto. Dopo il primo concerto di riapertura, Ali Rahbari, direttore d’orchestra di fama mondiale (in copertina) designato dal ministero della Cultura, ha detto: “Questa è la serata più bella della mia vita, perché vedo rinascere l’Orchestra Sinfonica di Teheran”.

Qualche giorno prima, un altro spiraglio di libertà aveva visto la luce in una scuola di Saghez, città del Kurdistan iraniano, con la presentazione di un libro di testo scritto in curdo. Una delle promesse elettorali del presidente Rohani era quella di rispettare il diritto delle minoranze all’apprendimento della propria lingua nelle scuole, una prima fase verso l’insegnamento degli idiomi di altre etnie in Iran, cosa che molti conservatori hanno sempre collegato a tendenze separatiste.

Ali Falahi è corrispondete da Teheran per El País.

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