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La giustizia sociale in Egitto? “Con l’amore”!

di Rami Khrais (AlAkhbar 03/08/2012). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

 

“Con l’amore”: così ha risposto Mohamed Morsy, presidente egiziano neo-eletto, quando gli è stato chiesto con quale parametro avrebbe dovuto misurarsi per portare la giustizia sociale nel suo Paese. La risposta del signor Morsy non esula molto dalla percezione che hanno gli islamisti della questione economica o dei rapporti tra rivoluzione e potere, in un Paese politicamente in fiamme a causa di una crisi sociale assai grave. “Amore” qui è l’abbreviazione concettuale islamista di una campagna di parabole incentrate sull’aiutare i poveri, mostrare carità, compiere opere di beneficenza.

 

Non è possibile realizzare tali parabole – dal punto di vista degli islamisti – adottando una politica economica specifica che sia dalla parte delle classi sociali più svantaggiate, attraverso un ampio pacchetto di proposte di garanzie sociali. E neppure mettendo in atto un sistema fiscale che ridistribuisca le entrate nelle zone emarginate e più deboli. La via scelta dagli islamisti sembra l’islamizzazione stessa, che mira a creare “la società dell’Amore”. In altre parole, l’islamizzazione rappresenta una strategia per dare forma a una società esemplare che tuteli i valori della giustizia, della cooperazione e delle opere di bene. Gli islamisti immaginano che la costruzione di un modello sociale del genere porti necessariamente ogni individuo a compiere il proprio dovere, in virtù della comprensione di tali valori. Dunque il ricco si china dinanzi al povero, gli imprenditori forniscono assistenza ai diseredati, e uomini ancora più facoltosi intavolano banchetti per sfamarli.

 

Così facendo instaurano una sorta di giustizia sociale dalle tinte amorevoli. “L’opera di bene” è sinonimo islamista per il concetto di “responsabilità sociale”, il cui strumento è il pensiero liberale adottato per rabbonire gli effetti derivati dallo sfruttamento capitalistico dei lavoratori e del mettere mano ad altre rendite. Dunque così non si fornisce alcuna soluzione né alla disoccupazione, né alla povertà o ai ribassi produttivi. Tantomeno a quei problemi relativi allo sviluppo del potenziale umano, come il logorarsi dei servizi nel settore scolastico ed in quello sanitario (in netto declino) e l’investimento nei quali costituisce l’essenza dei modelli di sviluppo dell’economia attuale. I problemi economici sono problemi strutturali, radicati nel profondo del modello produttivo vigente, e nella natura strutturale dell’economia. Poggiano inoltre sulla forma dell’ambiente legislativo e politico che riflette gli interessi di alcune classi sociali della comunità.

 

Da tali basi ci si rende conto che – invece di indugiare sul concetto di “opere di bene”, cosa che non intacca alla radice ciò che non va nel sistema – bisognerebbe piuttosto lavorare sulla struttura, creando un modello razionale per lo sviluppo con politiche che permettano di superare i problemi. Per farlo, sarebbe opportuno costringere gli attori sociali – in special modo la politica al potere – a scelte economiche efficaci, determinandone le alleanze senza favoritismi verso certi gruppi sociali a scapito delle grandi masse sfruttate. In questo senso, la Fratellanza Musulmana appare come un conservatore riformista, che non ha alcun progetto vòlto ad attenuare o far sparire le differenze di classe, né a regolare i meccanismi della distribuzione dei redditi. Sembra piuttosto la continuazione di un programma neo-liberale in campo economico, in auge in Egitto da oltre due decenni, che ha causato una delle crisi sociali più forti vissute nel Paese.

 

Non è solo perché Morsy ha pronunciato quella frase sull’amore, ma anche per le misure adottate dai Fratelli Musulmani in seguito alla rivoluzione del gennaio 2011. Capitalisti d’impresa – tra cui alcuni legati al precedente regime – sono stati subito rassicurati sul fatto che avrebbero mantenuto i propri interessi, che il flusso degli investimenti sarebbe rimasto invariato e che erano previsti per loro molti vantaggi a mo’ d’incoraggiamento. Arrivando fino ai giorni nostri, attraverso il giornale di partito la Fratellanza ha di recente accusato i lavoratori del settore tessile di Mahalla – che hanno scioperato nelle ultime due settimane per dei salari più alti e condizioni di lavoro migliori – di ricevere il sostegno del vecchio regime al fine di mettere i bastoni tra le ruote al progetto del nuovo presidente. Oggi in Egitto il settore più in fermento nella società pare essere quello dei lavoratori pubblici. Ma ci sono proteste anche di puro e semplice tipo civile. Alcuni per esempio si sono lamentati di non aver ricevuto servizi di base come elettricità ed acqua.

Stando ai dati forniti dal Centro egiziano per i Diritti economici e sociali, solo nella seconda metà di luglio ci sono stati 271 casi di proteste. Sono in molti – e tra loro alcuni esponenti della Fratellanza – a descrivere tale realtà come una montante onda di cospirazione occulta che minaccia l’economia nazionale e l’operato del presidente. Analizzando tuttavia le condizioni economiche e sociali precedenti alla rivoluzione, ci si rende conto che questa altro non è che la continuazione di un processo tuttora in atto che porta a protestare studenti e lavoratori meno agiati tanto in aree urbane quanto in quelle rurali. Lo Stato egiziano ha subìto una rovina generalizzata: i nuovi business e gli investimenti hanno causato il completo ritiro del pubblico dominio. Da questa premessa si ha un quadro delle motivazioni che hanno spinto la crisi sociale ad aggravarsi, portando a scendere per le strade e a protestare. Ignorare la radice sociale di tali proteste non farà che aggravare la crisi che vive l’Egitto.