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La giungla di Calais

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Le operazioni di sgombero possono essere tanto la base di un approccio alla questione migratoria differente, quanto alimentare il populismo in vista delle prossime elezioni

Di Mohamed Krichen. Al-Quds al-Arabi (26/10/2016). Traduzione e sintesi di Emanuele Uboldi

Il campo francese ospita circa 7.000 rifugiati (secondo statistiche ufficiali 6.500, altre non escludono si arrivi a 9.000) e raggruppa coloro i quali vorrebbero passare la Manica per stabilirsi in Gran Bretagna. Negli ultimi due giorni le autorità francesi hanno deciso lo sgombero dalle case in lamiera che ospitano chi giunge da tutto il mondo agli oltre 280 centri di accoglienza.

Tutti loro dovranno scegliere tra la presentazione della domanda di rifugio e il supporto per il ritorno (afghani e iracheni sono i più interessati a questa possibilità), mentre saranno pochi a ricongiungersi con le proprie famiglie – circa 1.200 minori. “Non so se quello che sta succedendo sia una buona opportunità, ma sta a me tentare la mia sorte”, così ha detto un sedicenne etiope, alludendo a come l’adesione a questa iniziativa francese sia una scelta migliore di gran lunga che restare illegalmente nella baraccopoli.

Nei primi due giorni dello sgombero, sudanesi ed etiopi hanno collaborato attivamente con le autorità francesi per partire alla volta di uno dei centri di accoglienza del paese. Chi era deciso a restare ha fatto i conti con la forza delle autorità. Un ragazzo sudanese ha riassunto così: “Sono qui da 16 mesi e sono prosciugato. Non ho paura, voglio cambiare la mia vita, sono pronto a restare in Francia, ovunque sia”. Alla fin fine, non è un male restare sul continente invece di andare nel Regno Unito come programmato.

Forse questa voglia irrefrenabile di tutti i rifugiati di andare nel Regno Unito necessita di una pausa di riflessione per comprendere il “mistero” della perseveranza verso questo paese specifico, almeno fintanto che ci sono le scelte alternative di restare in Francia o anche “infilarsi” successivamente in altri paesi europei. Questo non impedisce di guardare all’iniziativa francese come l’inizio di un approccio umano differente nei confronti della questione dei migranti illegali.

Ciò che, in via di principio, invita alla calma in tutto ciò che accade a Calais è la presenza massiccia dei mezzi di informazione nazionali e internazionali (circa 700 giornalisti) che copre ogni aspetto, cosa che non era accessibile precedentemente e ha permesso, in passato, il verificarsi di abusi dei diritti di migliaia di migranti. La cautela nell’inizio delle operazioni di Calais non significa che questo caso sarà trattato interamente con generosità, va da sé quindi anche tutto il fenomeno migratorio in Francia. Per esempio, non è permesso lavorare fino al riconoscimento dello status di rifugiato, sebbene si riceva una diaria di 7 euro e l’acceso a lezioni di lingua è subordinato alla richiesta del riconoscimento dello status.

C’è da sottolineare che non tutti i migranti si “sottometteranno” ai centri di accoglienza: ci sarà chi andrà autonomamente dove vuole, ma l’importante è andarsene dalla giungla e “mischiarsi nella ressa”, come ha detto qualcuno di loro.

Quello che importa alla Francia ora è cancellare in toto dalle mappe la città e impedire che si formi nuovamente. La cosa più importante, ora, è evitare che la questione rientri nel palio pubblico delle elezioni che si terranno a breve, poiché farebbe dei migranti il combustibile della lotta che spesso fa vedere il peggio della società francese tramite episodi di odio verso il diverso.

Mohamed Krichen è un giornalista tunisino.

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