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La fine dei riformisti in Iran

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Breve vita di un accordo: il comportamento dell’Iran riporta indietro le aspirazioni riformiste

di Wajih Qansu, al-Modon, (10/05/2018). Traduzione e sintesi di Mario Gaetano.

Dopo un anno di esitazione e di pressioni europee che hanno cercato di impedirlo, Trump ha cancellato l’accordo sul nucleare con l’Iran. Il dossier iraniano è dunque tornato a zero, anzi è addirittura peggio di prima, dato che il presidente americano ha legato la questione dei missili iraniani alle crisi regionali in atto. L’amministrazione Obama aveva considerato la questione del nucleare del tutto particolare e separata rispetto ai giudizi politici. Non c’è dubbio sul fatto che Obama abbia strategicamente perso nel momento in cui ha siglato un accordo, a vantaggio dell’Iran, lasciando che continuasse i suoi misfatti nella regione.

L’intesa siglata infatti, pur essendo di breve durata, con benefici economici che consentivano alla repubblica islamica di uscire dall’isolamento internazionale, ha dato tempo sufficiente a quest’ultima di penetrare velocemente nella regione araba, fissando così la sua influenza e il suo potere.

Francia e Germania, pur non possedendo le capacità logistiche necessarie, cercano di mantenere l’accordo sul nucleare per ragioni di ordine economico e commerciale di decine di milioni di dollari. La loro insistenza non è per convincere che si tratti di un buon accordo che contribuisce a stabilizzare la regione, bensì è dettata dalla necessità di salvare gli investimenti che hanno promesso all’Iran. Quanto a Paesi come Russia e Cina, essi hanno mostrato una blanda difesa dell’accordo, in virtù del fatto che quest’ultimo non rappresenti i loro interessi, anzi mantenerlo in vigore, significherebbe, per loro, oneri e spese non sostenibili; senza contare che il ritiro americano dal patto vuol dire necessariamente la cancellazione dell’accordo stipulato nel 2015.

Il patto sul nucleare è stato anche frutto degli sforzi del presidente iraniano Rohani e della sua squadra, che ha fatto uscire il Paese dall’isolamento, e attraverso vie diplomatiche ha costruito un dialogo con l’occidente. L’elezione di Rohani  si può considerare un segnale  da parte del popolo iraniano che è stanco di politiche sterili, e di un regime giuridico incapace di affrontare la questione nucleare, conducendo, in tal modo, il Paese  in un vicolo cieco.

In definitiva, si potrebbe affermare che la condotta dell’Iran rivela due cose. La prima è che ha esposto il regime all’instabilità sociale e a problemi di sicurezza, facendolo sprofondare sull’orlo della guerra con Israele. La seconda riguarda l’accordo sul nucleare stesso, con il quale Rohani intendeva integrare l’Iran nel mercato internazionale e che era ben visto anche dal Consiglio dei Guardiani. Tuttavia è proprio su quest’ultima istituzione che si sono appuntate le critiche occidentali, le quali considerano anti democratico poggiare l’intero apparato statale su un’istituzione d’ispirazione “divina”.

L’accordo sul nucleare è stato un esperimento con il quale il regime iraniano ha provato sia ad accettare le ispezioni occidentali nei suoi siti nucleari, sia a modificare il suo comportamento discutibile nella regione araba; ma è proprio il fallimento di quest’ultimo obiettivo che ha fatto naufragare le riforme e la possibilità di concretizzarle.

Wajih Qansu è scrittore e ricercatore.

 

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