Turchia Zoom

Istanbul: siamo stati noi, anzi no

Di Serkan Demirtaş. Hürriyet Daily News (10/01/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

“Scusate per la svista, c’è stato un errore dovuto a un “problema tecnico””: così il Fronte-Partito marxista rivoluzionario di liberazione del popolo (DHKP-C) venerdì scorso ha ritrattato la sua altisonante rivendicazione dell’attentato suicida del 6 gennaio contro una stazione di polizia del distretto turistico di Sultanahmet, a Istanbul. Lo stesso partito-fronte che il 2 gennaio ha rivendicato il fallito attentato al palazzo Dolmabahçe, storico palazzo ottomano dove morì Mustafa Kemal Atatürk, ora parzialmente adibito a uffici del primo ministro. La matrice dell’attacco era stata rivelata dalla polizia turca immediatamente dopo l’arresto dell’attentatore, che aveva lanciato contro la guardia d’onore due granate difettose, non esplose.

Nella rivendicazione del 6 gennaio scorso, il DHKP-C aveva parlato di rappresaglia contro lo Stato turco, colpevole di proteggere “ministri ladri” e di aver ucciso Berkin Elvan, il quindicenne morto dopo 269 giorni di coma per un colpo di lacrimogeno alla testa durante le proteste di giugno 2013 a Taksim Gezi Park, a Istanbul. L’attentatrice suicida, spiegava un comunicato del DHKP-C, era la ventenne Elif Sultan Kalşen, la cui madre, chiamata a riconoscere il suo cadavere, aveva smentito questa affermazione. Dal canto loro i media non hanno fornito versioni ufficiali fino all’8 gennaio, quando hanno ventilato l’ipotesi che si trattasse di una cittadina russa di origini cecene. Tuttavia lo stesso giorno il ministro degli Esteri Efkan Ala, pur rassicurando sui “progressi” nell’indagine della polizia, ha detto che questi sarebbero vanificati se si rivelasse l’identità dell’attentatrice. Abbiate fede nei servizi di sicurezza, ha aggiunto Ala, perché nelle ultime settimane hanno sventato diversi attentati senza clamori mediatici.

Ora è ufficialmente tutto più chiaro. L’attentatrice (che oltre a se stessa ha ucciso un poliziotto) era una cittadina russa di origini cecene, Diana Ramazova, entrata in Turchia lo scorso giugno con un visto turistico ed è possibile che avesse legami con i cartelli del jihad di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS). Il DHKP-C invece ritirando la rivendicazione ha specificato che l’errore era dovuto al fatto che era in preparazione un attentato “identico a quello di Sultanahmet”. L’intelligence intanto indaga su possibili connessioni tra quest’ultimo e il bagno di sangue nella redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Una pista che spiegherebbe anche i due ordigni trovati ieri in due centri commerciali di Istanbul, a Başakşehir e Sefaköy. Francia e Turchia secondo Ankara seguono una stessa linea in Siria, secondo cui mentre si bombardano le postazioni dei cartelli del jihad bisogna defenestrare il presidente Bashar al-Assad.

Fondato nel 1978, il DHKP-C è nella lista delle organizzazioni terroristiche di Turchia, Stati Uniti e Unione Europea. La comandante della colonna Asuman Akça era stata arrestata nel 2008 con l’accusa di pianificare l’uccisione dell’allora primo ministro e attuale presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan. Poco dopo il suo rilascio nel 2012 per insufficienza di prove, Akça aveva annunciato l’intenzione di rivelare i legami tra DHKP-C ed Ergenekon, organizzazione laica ultranazionalista con probabili infiltrazioni nelle forze di sicurezza e nell’esercito e pilastro del derin devlet o deep state. Rivelazioni mai arrivate perché la donna è stata quasi uccisa da un uomo che la versione ufficiale definisce membro del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) oppure del DHKP-C o ancora del Partito comunista marxista leninista (MLKP). L’uomo aveva personalmente informato la polizia turca di aver ricevuto ordini dalDHKP-C di uccidere Akça.

Serkan Demirtaş è opinionista e redattore del quotidiano Hürriyet Daily News.

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