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Iran: la lettera scarlatta

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Di Gareth Porter. Middle East Eye (13/02/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Congresso USAMentre gli stessi repubblicani statunitensi hanno ammesso che l’obiettivo della lettera inviata da 46 loro senatori, tra cui Tom Cotton, era il sabotaggio del negoziato sul nucleare iraniano, i democratici la definiscono “scioccante e spaventosa” e accusano i firmatari di violare una legge federale che proibisce ai privati cittadini di trattare con potenze straniere. Ma il vero problema è il peso politico che negli USA hanno i finanziatori del partito nazionalista israeliano Likud, anche perché l’intento della lettera è convincere Teheran che Washington non rispetterà tutte le clausole di un eventuale accordo, soprattutto l’abolizione delle sanzioni. Una mossa che ricorda la campagna del 1968 dell’allora presidente Richard Nixon per spingere il governo vietnamita di Nguyen Van Thieu a boicottare i colloqui di pace di Parigi. Con una differenza fondamentale: Nixon cercava di agire in segreto, mentre Cotton e gli altri 46 repubblicani hanno firmato la loro lettera all’Iran alla luce del sole e nell’interesse non degli Stati Uniti, ma anche di Israele.

Le argomentazioni inoltre sono palesemente false. Si legge ad esempio che qualsiasi trattato siglato senza l’approvazione del Congresso è un “accordo esecutivo”, di rilevanza pratica e senza impegni diplomatici. Tuttavia di questa natura sono trattati fondamentali, come quelli per il ritiro delle truppe americane dal Vietnam e dall’Iraq. Altra affermazione infondata è che “il futuro Congresso potrebbe modificare i termini dell’accordo in ogni momento”. Infatti il Congresso può solo abrogare le leggi della precedente amministrazione promulgandone di nuove, senza poterle modificare. I 47 repubblicani inoltre sostengono che il prossimo presidente potrà stralciare liberamente l’accordo, anche se una volta siglato diventerà vincolante a livello internazionale attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Diversi esponenti democratici hanno gridato al tradimento, negoziando con una potenza straniera in barba al Logan Act e in poco meno di un’ora la loro petizione pubblicata sul sito della Casa Bianca ha ricevuto oltre 200.000 firme. Nondimeno, il richiamo al Logan Act, approvato nel 1799, pone problemi legali perché questa legge risale a più di un secolo prima che venissero stabiliti gli standard giuridici per applicarla. Inoltre non è chiaro se valga o meno per i membri del Congresso. La questione in realtà è che i firmatari della lettera all’Iran non hanno negoziato con una potenza straniera (l’Iran, appunto), ma hanno cercato di influenzare l’esito dei negoziati nell’interesse di un’altra potenza straniera (Israele), inviando a Teheran un testo dettato dalle insistenti pressioni di agenti del governo di Tel Aviv (promesse di finanziamento delle campagne elettorali o minacce di sostenere gli avversari).

Secondo diversi osservatori, la lettera si può dunque considerare opera dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) che, come dice l’ex membro M.J. Rosenberg, ne ha redatto una bozza consegnandola al senatore Cotton, ovvero il pupillo del giornalista neoconservatore Bill Kristol. Lo stesso che con la Commissione di Emergenza per Israele nel 2014 ha guadagnato quasi un milione di dollari utili per finanziare campagne elettorali, e ha promesso a Cotton il supporto di quattro grandi finanziatori provenienti dalle principali organizzazioni anti-iraniane. Un premio per aver mostrato fedeltà al Likud nel 2013, con l’emendamento al Nuclear Iran Prevention Act che avrebbe punito chiunque avesse violato le sanzioni contro Teheran con pene fino a 20 anni di carcere.

Gareth Porter è uno storico e giornalista investigativo indipendente statunitense, esperto di sicurezza nazionale.

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